Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Venezia 77. Una Mostra che piace ai cinefili
Nell'anno Covid, molta Italia e niente divi

Mercoledì 29 Luglio 2020


Se è stato, e non esiste motivo per dubitarlo, temerario, complicato, faticoso, stressante formare il programma di questa, purtroppo straordinaria, 77ª Mostra, ci sia permesso dire che non è nemmeno semplice avere sul risultato un pensiero (non un giudizio, quello si può fare solo alla fine…), per di più convinto, che non sia influenzato da tanti fattori, domande, perplessità, dubbi. Già in tempi normali esprimersi alla presentazione del programma comportava rischi e incertezze, figurarsi quest’anno. Il tema, infatti, non è quello di riflettere sulla “qualità” del film scelti: lo scopriremo solo vedendo, com’è ovvio. E quindi si torna sempre al capolinea: vale la pena di affrontare una Mostra così “ridimensionata” (spiegheremo poi questo termine), con i pericoli che inevitabilmente esisteranno, dal momento che il virus è sempre appostato, perché non solo non è sparito, ma ogni giorno arrivano notizie non così confortanti, che sono quelle che di fatto hanno reso necessario, all’ultimo momento, cancellare i fuochi d’artificio nella notte del Redentore? La risposta è probabilmente sì: abbiamo bisogno di vivere, di tornare a frequentare le nostre abitudini, a rivitalizzare il nostro mondo (del cinema) che è tra quelli che più hanno economicamente (e spiritualmente) sofferto. Chi può sostenere il contrario? Venezia diventa il primo festival che riapre dopo mesi di angosciante distacco ed è una notizia entusiasmante, oltre al suo significato simbolico.  Ma anche il no, probabilmente, avrebbe le sue ragioni sul “vale la pena”, a cominciare dal “contesto” in cui Venezia opera, che è quello di Cannes e, a suo modo, anche Berlino, e certo, ad esempio, non di Locarno, Karlovy Vary, Torino, per non parlare di Roma, perché il programma presentato assomiglia più a uno di questi festival (ecco spiegato il termine “ridimensionata”). Un po’, usando una metafora calcistica, come se Real, Barcellona, Juventus, Bayern radunassero a inizio stagione una formazione fatta tutta di promesse quasi ignote ai più, senza i fuoriclasse: magari poi vincerebbero lo scudetto lo stesso, ma all’inizio un po’ di diffidenza ci sarebbe.
Certo il programma, comunque quantitativamente ricco (62 lungometraggi), è di per sé un miracolo. E questo va ben sottolineato: lo sforzo è stato enorme. Perché arrivare a tanto in un anno drammatico, è stata tutt’altro che una passeggiata. Niente americani, in pratica niente francesi (che punteranno a tornare a Cannes ’21) e nemmeno qualche italiano loro idolo, come Moretti; e qui ci siamo già giocati molto del programma degli anni scorsi. Certo molti italiani, anche se Barbera non vuole sentir parlare di una Mostra autarchica: non lo è, ma il numero complessivo di opere nostrane nel cartellone complessivo (16) è nutrito (4 sono in Concorso). Non poteva essere altrimenti, anche se forse un po’ di cautela sull’entusiasmo che ha accompagnato la presentazione italiana l’avremmo usata, anche perché le scorie che governano il nostro cinema sono tutt’altro che eliminate. Certo i cinefili più radicali esultano finalmente per una Mostra senza divi (il red carpet sarà affollato da italiani, da Favino alla Rohrwacher), mentre chi è più dedito al glamour e a un cinema che poi finirà spesso in sala può anche sentirsi perfino sconcertato. Ma ripetiamo: in una Mostra che non elimina una quota d’azzardo, nonostante tutte le precauzioni confermate dal neo presidente della Biennale, Roberto Cicutto, il programma alla vigilia contiene non pochi elementi di interesse cinematografico, anche se inevitabilmente più di nicchia. E con 8 registe su 18 film in Concorso non lieviteranno nuove polemiche sulla parità di genere.
Quattro dunque i film italiani in gara: Gianfranco Rosi (già Leone con “Sacro GRA”) ci porta, con “Notturno”, nella terra martoriata della Siria; Susanna Nicchiarelli (vincitrice di un Orizzonti con “Nico, 1988) entra, con “Miss Marx”, nella famiglia di Karl Marx; Claudio Noce con “Padrenostro” narra una drammatica storia subita da due ragazzini; Emma Dante, regista teatrale di fama internazionale e che proprio al Lido esordì anni fa al cinema, ci racconta “Le sorelle Macaluso”. E altrove ci sono Luchetti, Mordini (sull’acqua alta, film di chiusura), Mereu, Guadagnino (su Ferragamo), Segre, Verdelli (che porterà Paolo Conte al Lido), Alice Rohrwacher, Pietro Castellitto, la coppia D’Anolfi-Parenti (anni fa in Concorso “Spira mirabilis”), Uberto Pasolini, l’esordio nel “corto” di Jasmine Trinca, una pattuglia folta e diversificata.
Chiaro che in Concorso sono entrati probabilmente film, che in un anno normale sarebbero stati sacrificati dal grande cinema autoriale, specie americano. Tuttavia, tra tanti nomi ignoti al grande pubblico, spuntano nelle varie sezioni i già più conosciuti e amati in modo più ampio Abel Ferrara, Lav Diaz, Alex Gibney, Frederick Wiseman, un Orson Welles che conversa con Denis Hopper, e soprattutto in gara per il Leone Amos Gitai, Andrei Konchalovsky, Kiyoshi Kurosawa, Chloé Zhao.
Il nodo resta l’organizzazione di tutto, che quest’anno sarà chiamata probabilmente a uno stress non indifferente, anche se il numero di presenze sarà inevitabilmente limitato. E che buona Mostra allora sia. Dal 2 settembre. Il mondo dei festival riparte da Venezia.
  Ultimo aggiornamento: 09:56 © RIPRODUZIONE RISERVATA