Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Torino 36, giorno 2. Il cuore country di Blaze
e l'universo materico di Claire Denis

Lunedì 26 Novembre 2018
L’America e il country, una vita inseparabile. Ma è la giornata dell'ennenismo viaggio nello spazio, stavolta firmato da Claire Denis, che a suo modo lascia il segno, anche se forse meno potente di quanto si sperava.

HIGH LIFE di Claire Denis (After hours) – Su una navicella spaziale in volo verso un buco nero, convivono alcuni condannati a morte ed ergastolani, lanciati in una missione suicida alla ricerca di nuova energia. Tra di loro una dottoressa (Juliette Binoche) che ha soffocato i propri figli e accoltellato il marito, e un giovane che ha ucciso un amico per un cane. La fantascienza della prodigiosa Claire Denis pulsa materica in un spazio claustrofobico in mezzo all’immensità dell’universo. Non potendo più determinare un ulteriore sbalzo nell’immaginario rappresentativo del cosmo, pur ricollegandolo a 2001, la regista scarnifica le derive mistiche e filosofiche, demandando alla materia il senso dell’esistenza dell’uomo, corpi passeggeri nel disegno incomprensibile dell’esistenza, in rapida distruzione se sottoposti a violente radiazioni: siamo carne e ossa e niente più. In una dimensione biologica della vita (la ricorrenza allo sperma come elemento riproduttivo è chiara), l’uomo è posto quindi davanti alla sua stessa realtà, fatta di violenza animalesca, in cui ogni passeggero della missione è artefice o vittima. Tra echi di “Alien” dove il Mostro è ogni essere umano e il pessimismo di una umanità destinata a scomparire (il tempo a bordo è ovviamente più lento rispetto a quello della Terra), la speranza si accende davanti agli ultimi superstiti (padre e figlia) che troveranno in qualche modo la luce, probabilmente per una nuova umanità, nata da un incesto. Un film affascinante, senza emozioni, che forse perde qualcosa davanti al “genere”, ma riordina le coordinate cosmogoniche del viaggio impossibile. Voto: 7½.

BLAZE di Ethan Hawke (Festa mobile)
– La storia del quasi sconosciuto (almeno da noi) cantautore country Blaze Foley, ucciso a 39 anni con un colpo di pistola, dopo una vita dove la creatività è stata pari alla sua autodistruzione. Il terzo film da regista di Hawke poggia su una costruzione sincopata del tempo, usando il montaggio come depistaggio del racconto e motore della commozione, dove le canzoni assumono una valenza più necessaria dei dialoghi stessi, come se la creatività chiedesse alla vita il proprio spazio determinante sul palcoscenico degli avvenimenti. Immerso in una luce vintage, è un canto malinconico, dolente di ogni utopia del vivere e dell’esistere, in una forma che sfugge a una rappresentazione banale, nonostante non possa distaccarsene del tutto. Pur ricalcando altre storie e altre avventure di cantautori dediti allo sbandamento esistenziale, raccoglie con appassionata partecipazione quel cinema che è quasi impossibile non amare. Come le canzoni. Voto: 7.
PAPI CHULO di John Butler (Festa mobile)
– Lasciato dal suo fidanzato, il meteorologo televisivo Sean, ha una crisi isterica durante una trasmissione e viene posto dall’emittente in ferie coatte, per ristabilirsi. Per ridipingere il pavimento della terrazza della propria villa a Los Angeles assolda un grassoccio uomo maturo, con il quale instaura uno strano rapporto di seduzione, portando l’operaio a inoltrarsi nella vita gay losangelina. Con effetti sorprendenti. Una commedia che sfrutta l’antitesi dei suoi personaggi (giovane gay/maturo etero), non riuscendo tuttavia a elevarsi da una comicità simile a quella di “Benvenuti al…”, volendo ribaltare gli stereotipi ma rimanendone al contrario vittima in una conformità stucchevole e disarmante. Se la risata diventa innocua, non meglio va il finale tra la catastrofica irruzione del giovane gay a una festa di famiglia di Ernesto e la caritatevole apparizione di quest’ultimo per terminare il lavoro della terrazza. Banale, scontato, debolissimo, anche quando vorrebbe suggerire una scheggia di coinvolgimento emotivo. Voto: 5.
L’AMOUR DEBOUT di Michael Dacheux (Festa mobile)
– Léa fa la guida turistica a Parigi, Martin studia cinema ed è incerto sulle preferenze sessuali. Dopo una breve esperienza amorosa si separano. Incontrano altre persone, cercano nuovi legami. Un film piccolo e fragile che parte dall’idea che si può essere istruiti, conoscere monumenti, film e libri, ma non sapere quasi nulla della vita, come affrontarla. Una specie di educazione sentimentale che però finisce nelle sue stesse premesse, con qualche scena di sesso (gay o intergenerazionale) sempre trattenuta. Voto: 5½.
  Ultimo aggiornamento: 17:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA