Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Supernova, ma è più penombra che luce
L'adolescenza più bella, Giudecca al bivio

Venerdì 17 Settembre 2021

Una supernova è una stella che libera un’energia devastante nell’universo, diventando luminosissima in cielo. La stella collassa e inizia a morire. Il film di Harry Macqueen si apre (e si chiude) con uno sguardo sulla volta celeste, dove un puntino diventa improvvisamente molto luminoso. Questa metafora ci porta dentro la vita di Sam e Tucker, che stanno insieme da moltissimi anni. Il primo (Colin Firth) è un pianista, il compagno (Stanley Tucci) è uno scrittore e oggi, superata la soglia dei 60 anni, intraprendono un viaggio, una passione che hanno sempre avuto, per permettere a Sam di tornare a suonare in pubblico, anche se le motivazioni sono altre. Tucker, infatti, è ormai assalito da una demenza precoce, destinato in breve tempo a perdere a memoria e non riconoscere più chi gli sta a fianco. Viaggiando con un camper attraverso le strade inglesi, cercano di ristabilire contatti con il passato, con soste da amici e parenti, provando a capire il futuro. Se è curiosa la rilevante analogia con il film di Paolo Virzì (“Ella & John – The leisure seeker), ancora più debole di questo, dove erano Helen Mirren e Donald Sutherland a girare con lo stesso mezzo le strade d’America, il film di Macqueen è il crepuscolare canto di una coppia che sente come il tempo rimasto si assottigli pesantemente. Ne esce un dramma sussurrato a due voci, sensibile e ogni tanto lacrimevole, dove si impara ad accettare che ogni cosa abbia la sua fine. Scoperto come Tucker voglia interrompere autonomamente il viaggio della vita, Sam cerca rifugio nel sentimento, scoprendo che il declino è ineluttabile, nonostante ogni sforzo di far recedere il compagno da ogni soluzione estrema. Il film rafforza l’importanza di essere padroni della propria vita, senza diventare un’opera a tesi. Tucci e Firth compongono il quadro struggente di una coppia, benestante e istruita, dove un abbraccio oggi ha un valore che non avrebbe avuto durante l’euforia della giovinezza. Il road movie è un itinerario non soltanto geografico, che forse si accontenta un po’ troppo soprattutto di piccole sfumature, raggelando il tramonto nei silenzi e nelle pause, mentre la vita scivola via. Tra la commozione e un po’ di noia. Voto: 5,5.

NON È BELLO CIÒ CHE È BELLO - Seconda puntata. Marta si è separata da Arturo e continua a lottare contro la sua malattia, in attesa del provvidenziale trapianto. Federica e Jacopo le sono sempre vicini, ma intanto spunta Gabriele, col quale inizia una relazione, anche se il ragazzo parte presto per Parigi. In più si complica la situazione con l’apparizione di un rider che porta le pizze, sul quale Jacopo ci mette gli occhi, ma che forse gay non è. E finalmente dall’ospedale arrivano buone notizie, in attesa della terza puntata. Firmato stavolta da Claudio Norza, ancora su soggetto e sceneggiatura di Roberto Proia e Michele Straniero), “Ancora più bello” mantiene intatte le atmosfere dell’episodio precedente, con la luce calda di Emanuele Pasquet, che rimanda al mondo di Amélie, e quella leggerezza che ha portato il teen movie a uscire dall’asfissia di un genere declinato spesso tra chiasso e grevità. Qui, al contrario, le storie hanno una freschezza e una spontaneità che si fanno apprezzare, dai giochi di seduzione fino allo scorbutico tema della malattia. Bravi e credibili gli interpreti, che strappano qualche malinconico pensiero nel tentativo di rendere accettabili le difficoltà della vita. Breve ma intenso cameo di Loredana Bertè, dalla parte delle donne. Voto: 6.

GIUDECA NOSTRA ABBANDONADA - Giudecca, Venezia. Nell’isola più “isola” del centro storico, la morte di Toni pone i restanti fratelli in crescente conflittualità sulla destinazione della casa, che Alvise vuole restaurare e fare una meta per turisti (“Welcome Venice”), e Piero no, perché in quel caso dovrebbe trasferirsi in terraferma. Andrea Segre elabora in modo attuale uno dei grandi temi della città che si spopola, con uno sguardo attento e una vicinanza sensibile ai personaggi, specie in quello di Paolo Pierobon. Le “molecole” si trasformano in corpi e in tempo di pandemia tutto diventa problematico. Un film di densa atmosfera e caratterizzazioni sintomatiche. Spiace solo l’uso misto del dialetto. Voto: 6,5.

 

 

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