Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Scemo & più Scemo: mandibole grottesche
La ribellione (fiacca) delle bravi mogli

Sabato 26 Giugno 2021

 

 

Fosse stato un film di Cronenberg a un certo punto i due totalissimi idioti della nostra storia sarebbero finiti in pasto alla supermosca, vera protagonista della faccenda. Ma Dupieux, che comunque di solito non scherza nonostante la farsa sia sempre in agguato nel suo cinema, stavolta porta la sua burla a mettere in scena un mondo dove ognuno contribuisce a rendere bizzarro ogni gesto quotidiano, perdendo contatto con una realtà sempre esagerata, esagitata, incontrollata. “Mandibules” è un gioco grottesco e surreale, sostanzialmente un cazzeggio, ma intelligente, dove le trovate si accumulano portando la stupidità a elevarsi a livelli deliranti. Non c’è gag che non funzioni, nel suo insistere su una specie di “depravazione mentale” della cognizione, dove nessuno riesce ad avere un ruolo sensato nella vita. Jean-Gab e Manu sono due entusiasmanti scemi. Ogni idea, ogni scelta fatta durante la giornata viene salutato con il gesto delle corna, intrecciandolo con le mani e urlando: “torò” (siamo in Francia e Dupieux è di origine parigina). Viene loro commissionato di consegnare a una persona lontana una valigetta. Per coprire i chilometri, rubano un’auto, all’interno della quale, nel bagagliaio scoprono una sorprendente mosca gigante, che subito sperano di addomesticare, usandola in future fantomatiche rapine alle banche. Strada facendo però le cose si complicano. Ogni incontro è accompagnato da situazioni estreme, da persone ostili che abitano in una roulotte a un’amica di infanzia che vive assieme ad altri coetanei in una villa con piscina, sbagliando ovviamente di riconoscere in uno dei due protagonisti un vecchio compagno di scuola. Il tutto tra incendi, distruzioni varie, una bicicletta a forma di unicorno e una sarabanda di azioni insensate, degna di una screwball comedy. Dupieux abbandona la sua matrice più teorica, liberando un senso tellurico (e fortemente antiborghese) di rappresentare una società sull’orlo della pazzia, inseguendo sogni irrealizzabili o godendo di un presente inconsapevole, a volte viziato. In realtà, in tutto questo trambusto, il film vuole essere soprattutto un buddy movie, un racconto sull’amicizia inconsueta tra due persone prive di ogni senso comportamentale e forse mai cresciute, come indica il fanciullesco giochino del “torò” che diventa un vero e proprio tormentone. Il film sta in piedi proprio per la sua costante esagerazione, grazie anche alla efficacissima interpretazione di David Marsais e Grégoire Ludig (più noti Oltralpe come Palmashow), che contribuiscono con una fisicità sconnessa e una mimica irrefrenabile a rendere tutto, in qualche modo, plausibile. Si esce un po’ frastornati, ma anche liberi di accettare un racconto dove la logica salta al primo passo, canzonatorio e al tempo stesso affettuoso, verso chi la società spesso emargina e dimentica. Voto: 7.

TUTTA CASA, CHIESA, MARITO E FIGLI - Negli anni del dibattito elettrico sul #Metoo e di tutte le discussioni che si avventurano anche sull’uso delle parole e della loro declinazione di genere, dove ogni esagerazione fa paradossalmente più male alla causa, Martin Provost ci porta in un paesino dell’Alsazia, all’alba del maggio francese, quindi in piena euforia “rivoluzionaria”, dove, come d’altronde nella quasi totalità del mondo, era molto chiaro il dominio maschile, in famiglia e in società, con il risultato che alle donne era riservato il ruolo irrinunciabile di moglie e madre, tutta casa e (possibilmente) chiesa, circondata da pentole, passamanerie e pannolini. Paulette (la sempre convincente Juliette Binoche) dirige una di quelle scuole, dove le ragazze vengono istruite a diventare brave mogli, istituti che oggi farebbero sorridere, ma che all’epoca giovani di famiglie “bene” frequentavano, sotto la guida “esperta” di direttrici e suore. Scuole esemplari che oltre a spiegare come si tiene in ordine una casa, si ricorda come la moglie debba in ogni modo essere comprensiva delle attività del marito, senza anteporre le proprie esigenze. A cominciare proprio dalla direttrice, che infatti chiude entrambi gli occhi di fronte all’insistenza del marito (proprietario dell’istituto) verso le giovani ragazze, l’alcol e il gioco d’azzardo. Ne esce un ritratto abbastanza impietoso, mitigato dal sorriso che scatenano certe situazioni, specie alla morte del marito della direttrice. “La brava moglie” è una commedia e come tale si comporta. Le ragazze scalpitano, ovviamente. Arrivano gli echi dei cambiamenti radicali della società dalla capitale, manifestazioni per le strade, ribellioni in famiglia. Il limite del film è quello di accontentarsi di restare sul crinale di una rappresentazione sarcastica, ma tenendola bene al riparo da sussulti e sconquassi, anche quando alla direttrice-vedova crolla il mondo, scoprendo che le finanze dell’Istituto sono tutt’altro che floride; così anche nel finale, che si vorrebbe catartico, con quell’azione improvvisa e liberatoria all’interno del bus. Ma l’ironia e il garbo non bastano. Voto: 5,5.

SAW: ANCHE BASTA - Ci sono saghe che non hanno alcuna intenzione di terminare. In un modo o nell’altro si riappropriano dell’attenzione, quasi mai ripagando lo spettatore. È anche il caso del filone “Saw”, ora tirato in ballo da quest’ultimo “Spiral”, che si addentra nel mondo della corruzione tra la polizia. Così alla parata del Giorno dell’Indipendenza americana, un poliziotto viene sequestrato e sottoposto al consueto perverso meccanismo della morte. Da lì ovviamente si scatena la solita collana esponenziale di atrocità, con una spiccata tendenza ludica della rappresentazione. Diretto ancora da Darren Lynn Bousman, si aggiunge alla collezione, sperando sia l’ultima volta. Voto: 4.

 

Ultimo aggiornamento: 09:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA