Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Piccolo corpo, di sicuro non piccolo film
Sul Nilo un remake tra delitti e noia

Venerdì 11 Febbraio 2022

C’è una leggenda che resiste tra i monti del Nordest, là dove si sviluppano storie di confine, che non sono soltanto geografici, ma anche culturali, fino a diventare spartiacque tra la vita e la morte, tra la finitezza del corpo e la salvezza dell’anima, tra il limbo e il paradiso. I bambini che nascono morti non hanno diritto a un posto nella luce, il loro mancato respiro li costringe a un’eternità priva di conforto. Lo sa bene Agata (una toccante Celeste Cescutti) che ha appena partorito una bambina, purtroppo priva di vita. Eppure tra quei monti, così dice la leggenda, esiste un posto dove i bambini riescono ad avere un brevissimo respiro, prima di essere morti definitivamente, evitando così di restare per sempre nel limbo. Ma è un posto lontano, sperduto. E il viaggio, siamo nel XIX secolo, si presenta tutt’altro che agevole, dove non mancano le insidie, dalla natura selvaggia al banditismo, un percorso che all’epoca in genere era svolto dagli uomini e non dalle donne. Invece Agata sente che quella meta la deve raggiungere solo lei e quindi si carica la bambina in braccio e parte verso l’ignoto. Dopo l’esperienza nel cortometraggio (è suo l’interessante “La santa che dorme”, che trovò ospitalità a Cannes), la triestina Laura Samani esordisce con un film intimo e appassionato (sempre Croisette, stavolta alla Semaine che si appropria di una credenza popolare e affronta con spirito libero e sguardo contemporaneo un percorso, che si rivela essere anche una presa di coscienza di sé. Le atmosfere, grazie a paesaggi misteriosi e affascinanti, parlano dello spirito e dei corpi, dando alla fede una dimensione inafferrabile e ambigua, mettendo la donna al centro. Prodotto dalla friulana Nefertiti di Nadia Trevisan e Alberto Fasulo, “Piccolo corpo” è un film al tempo stesso materico e spirituale, silenzioso e inafferrabile, dove la Carnia viene esplorata nella sua essenza, quando una piccola comunità di pescatori dell’Adriatico non comprende le esigenze di una madre desolata, costretta a strappare la propria neonata da una sepoltura angosciante, fino a farle decidere di compiere un gesto di ribellione, risalendo le montagne in cerca di quella chiesa. Nel suo itinerario incontrerà Lince (Ondina Quadri, qui sfuggente nella sua identità binaria di genere), personaggio misterioso e indecifrabile in tutti gli aspetti, che le starà a fianco e sarà lo specchio oltre che la guida di un’avventura immane. Samani oscilla tra la realtà e il miracolo, gira almeno tre sequenze meritevoli di memoria: il prologo in riva al mare con il coro muto; la scena tutta al femminile, nella quale una banditessa, scoprendo il contenuto della scatola di Agata - il corpo della bambina morta -, la lascia andare pietosamente alla meta desiderata; e l’immersione nel lago. Ne esce un film ancestrale, parlato nella lingua locale, che resta a lungo nel cuore dello spettatore. Voto: 7.

TRA LE PIRAMIDI E IL FIUME - Forse non c’è solo Angela Lansbury, nota Signora in giallo, a provocare omicidi ovunque vada. Anche Hercule Poirot non se la cava male: prenda un treno per Istanbul o si imbarchi per una crociera sul Nilo, qualcuno che muore c’è sempre, costringendo il celebre investigatore a non tirarsi indietro nel risolvere il complicato caso. Kenneth Branagh torna a vestire i suoi panni (lo aveva già fatto sull’Orient Express), pronto a esercitarsi di nuovo anche alla regia con un classico di Agatha Christie, che com’è noto non possiede la forza e anche la sorpresa dell’omicidio sulle rotaie. D’altronde grande è stata l’epoca, nel primo Novecento, degli avvincenti gialli “whodunit” (cioè “chi è stato” con lo svelamento finale del colpevole), che vide fiorire personaggi eccentrici e geniali come Philo Vance, Sherlock Holmes, Nero Wolfe, Ellery Queen e ovviamente l’acuto belga dal baffo sensibile (si vedano il lungo prologo di guerra e il finale blues), ma forse oggi anche il cinema e la tv, che ne hanno attinto a mani basse, mostrano sempre più fiacchi tentativi nel districarsi in trame implacabilmente geometriche, ultimo dei quali questa rilettura di Branagh di “Assassinio sul Nilo” (remake dell’altrettanto debole film del 1978 di John Guillermin), dove l’attore nordirlandese è di nuovo Poirot, come già fece nell’altro remake “Assassinio sull’Orient Express”, ricalco del film di Sidney Lumet del 1974. In questo vortice di riduzioni cinematografiche, Branagh dirige un’opera fintamente sontuosa e posticcia (nonostante l’uso della pellicola), costipata poi nell’effetto digitale, dove l’omicidio dell’ereditiera Linnet fa da sfondo a quella coralità tanto amata dalla Christie, che traduce la nostalgica aderenza a una società tramontata, vissuta tra inganni, gelosie e vendette. La sceneggiatura di Michael Green aggiorna le personalità dei personaggi, anche negli slanci sessuali, la regia di Branagh spinge l’effetto dinamico per non restare intrappolata, e il cast adeguato fa il resto. Ma se lo spettacolo si sforza di apparire interessante, si esce con la sensazione che tutto sarà dimenticato in breve tempo. Voto: 5,5.

Ultimo aggiornamento: 10:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA