Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Oscar 2021, era già tutto annunciato
Vince Nomadland, Italia al buio

Lunedì 26 Aprile 2021

Di sicuro gli Oscar andati a “Nomadland”, al film, alla regista e alla interprete, tra l’altro abbondantemente pronosticati quasi senza dubbio alcuno (ma è sempre bene ricordare il caso di “Moonlight”, che battè “La La Land”), faranno felice Alberto Barbera, che vede ancora una volta un film della Mostra di Venezia, per di più Leone d’oro, a portarsi a casa l’ambita statuetta; ma soprattutto gli esercenti delle sale cinematografiche, che proprio questa settimana stanno finalmente riaprendo e possono mettere subito in cartellone questo premiatissimo film (da giovedì in distribuzione nazionale), richiamo indispensabile per riportare la gente al cinema, dopo mesi di chiusura totale, di streaming, di film visti sul divano di casa: in assenza di un’offerta ampia e varia, l’arrivo del film di Chloé Zhao nella settimana dell’Oscar (quest’anno per la pandemia spostato a fine aprile), è una manna inaspettata. “Nomadland” assicura anche altri traguardi: permette alla regista, cinese naturalizzata americana, di essere la seconda donna, in tutta la storia dell’Academy a vincere l’Oscar per la miglior regia (in passato era toccato soltanto a Kathryn Bigelow con “The hurt locker”) e la seconda asiatica consecutiva dopo il Bong Joon-ho di “Parasite” dell’anno scorso; e alla fantastica Frances McDormad, protagonista assoluta del film, di portarsi a casa il terzo personale riconoscimento dopo “Fargo” e “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, eguagliando il record di Katharine Hepburn (Meryl Streep, dei 3 vinti, uno è come attrice non protagonista).

La grande attrice ha dedicato il premio alla «resilienza e gentilezza della comunità dei nomadi», narrata nel film, e ha lanciato un consiglio al mondo, quanto mai opportuno: «Guardate il film sullo schermo più grande possibile e portate tutti quelli che conoscete in sala a vedere tutti i film premiati quest'anno», ululando sul palco in ricordo di Michael Wolf, che ha curato il missaggio del suono del film e scomparso a 35 anni. Che poi “Nomadland” sia un grande film magari anche no (buono lo è senz’altro), ma al pari del Leone è un premio, calcolando la concorrenza a Venezia e a Los Angeles, difficilmente contestabile. Ne riparleremo tra qualche giorno, quando il film verrà distribuito nelle sale, una frase che ci fa tornare il brivido di una (parziale) normalità ritrovata. Semmai è alquanto paradossale sancire il successo di una regista per la sua sensibilità e per le storie dalle atmosfere pregnanti e ritrovarla ora all’opera con un’avventura cosmica Marvel (“Eternals”), che dovrebbe uscire a fine anno.

Parlare di delusione Italia, prima di addentrarci tra il tabellone dei premi, è senza dubbio fuori luogo: d’altronde dopo la doppia uscita dalle nomination del film di Gianfranco Rosi (“Notturno”), bocciato anche come documentario (l’ennesima scelta imprudente di casa nostra), restavano briciole quasi introvabili: il trucco e i costumi di “Pinocchio” (entrambi ceduti a “Ma Rainey’s black bottom”) e soprattutto la soporifera canzone “Io sì” di Laura Pausini, dal mediocrissimo film “La vita davanti a sé”, che ambiva a bissare il Golden Globe (riconoscimento già abbastanza sorprendente) e battuta invece dalla più grintosa e ritmata H.E.R. con “Fight for you” da “Judas and the black Messiah”.  Insomma partivamo già con modestissime ambizioni e siamo finiti nel dimenticatoio, un’altra disfatta sulla quale varrebbe la pena ragionarci un po’ su. Ma non succederà. La cantante, dopo un duetto con Diane Warren (autrice della canzone, eseguita al piano) comunque l’ha presa fortunatamente bene: «Torno in Italia felice di aver vissuto un’esperienza irripetibile. Torno felice di riabbracciare la mia bimba che mi aspetta: le racconterò il sogno di una notte incredibile".

In una notte resa particolare e speciale, per la situazione pandemica nel mondo, sdoppiata nella sua location, l’Oscar appare sempre più sacrificato al dosaggio delle quote (black, asiatiche, di genere), rimedio a un secolare complesso di colpa, che oggi rischia di trasformarsi in una obbligatorietà al contrario, dove a vincere (ma questo vale anche per parecchi festival) è sempre il contenuto (e l’appartenenza) sulla forma e forse anche sul merito; e il discorso è soprattutto a monte, sulle nomination. E dal 2024 si sa che le regole saranno addirittura ferree riguarda al politicamente corretto, ingabbiando un po’ tutto. Nel frattempo meritatissimo l’Oscar a Anthony Hopkins (“The father”) sul quotatissimo vincitore Chadwick Boseman (che sarebbe stato postumo: l’attore è scomparso qualche mese fa); prezioso il riconoscimento a Yoon Yeo-jeong, la nonna coreana di “Minari” (attrice non protagonista); ormai consueto (anche in modo stucchevole) il premio a un prodotto d’animazione Pixar (“Soul”); accettabile il miglior film internazionale al danese “Un altro giro” di Thomas Vinterberg; corretto quello allo scintillante bianco e nero di Erik Messerschindt per “Mank” e agli effetti speciali di “Tenet” di Nolan; infine piacevole l’Oscar miglior documentario a “Il mio amico in fondo al mare”, storia di una amicizia tra un uomo e un polpo, riuniti straordinariamente negli abissi da un abbraccio, l’unico momentaneamente oggi possibile, senza rischiare di incontrare quel maledetto virus.

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 23:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA