Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Magnifico Gray nell'Apocalisse, grande Vera
Il Po e la Sicilia: storie di conflitti e crudeltà

Giovedì 23 Marzo 2023

Forse è sintomatico che negli ultimi tempi alcuni tra i più importanti registi statunitensi abbiano sentito il bisogno di riordinare la propria giovinezza, attraverso dei racconti di formazione più o meno autobiografici, specchi di una identità storica e generazionale, che è il nostro e il loro passato, ma i cui echi arrivano ovviamente fino all’oggi. È stato così per Paul Thomas Anderson, forse il narratore più acuto e obliquo dell’America di ieri e di oggi, con “Licorice pizza” ed è stato così soprattutto per Steven Spielberg, con il suo più recente “The Fabelmans”, entrambi bellissimi. Adesso spetta a James Gray inserirsi in questo filone estemporaneo, che tocca con “Armaggedon time - Il tempo dell’Apocalisse”, uno dei suoi vertici registici più personali, intimisti, commoventi. Siamo nel Queens degli anni ’80, all’interno di una famiglia ebrea ucraina, nella quale il giovane Paul Graff (un sorprendente Michael Banks Repeta) sogna di diventare da grande un artista perché sa disegnare molto bene e ha una fervida fantasia. Paul è anche un ragazzo irrequieto, indisciplinato a scuola, specie quando compie azioni trasgressive in compagnia del suo migliore amico, un coetaneo nero con il desiderio di approdare un giorno alla Nasa. Sono ragazzi che si smarcano dal resto di una società che sta già cambiando. E non in meglio. In quegli anni ’80 è già avviato infatti lo scenario che cambierà l’America e il mondo: Reagan sta per diventare presidente, i Trump cominciano a farsi notare (il cameo di Jessica Chastain, che interpreta la sorella di Donald, è da brividi), segnali delle contraddizioni di un Paese che insegue la libertà, ma affonda nel plateale razzismo. Non ne è esente la fragilità continua dei genitori di Paul (Anne Hathaway-Jeremy Strong) e della loro intera famiglia, a parte il nonno Aaron, ulteriore esemplare figura senile di Anthony Hopkins, autentica coscienza di un’umanità che sembra non aver imparato nulla dal suo passato e che si ritaglia due dei momenti più toccanti: il ricordo della sua infanzia quando iniziò la persecuzione degli ebrei; e il monito al nipote sulla panchina del parco, per fargli capire che non bisogna mai abbassare la guardia. “Armageddon time” è un film che condensa la grammatica di una famiglia e di un Paese con la precisione cristallina di dialoghi densi e profondi e lo sguardo di un regista che penetra, fin da “Little Odessa”, nel cuore di tutti gli “immigrant” del mondo, capace di essere politico senza ricorrere ai manifesti. Nel finale amaro, dove il giovane Paul rifiuta definitivamente il ruolo assegnatogli da una società malsana e intollerante, c’è la sapienza di una regia classicamente priva di fronzoli, capace di riscaldare il cuore di tanti, ma non della giuria di Cannes, che l’anno scorso trascurò colpevolmente il film. Voto: 8.

SULLE RIVE DEL FIUME - Alle foci del Po, lunga la demarcazione del confine tra Rovigo e Ferrara un gruppo di bracconieri, a larga provenienza rumena, vive di pesca illecita, scontrandosi con i pescatori del luogo. I primi si riconoscono in Elia, nativo del luogo e tornato da poco al fiume di casa, mentre dall'altra parte è soprattutto presente la figura di Osso, un volontario che cerca di difendere il territorio e il suo eco-sistema. "Delta", seconda regia di Michele Vannucci, risente dell'ingresso della Groenlandia di Matteo Rovere e del suo universo, sdoganando un'opera che privilegia l'aspetto più fisico e materico della vicenda, un mondo fatto per uomini forti, ma al tempo stesso non privi di fragilità. cedendo qualcosa sul piano drammaturgico e psicologico, ma tenendo l'azione in primo piano. Ne esce un film robusto, non del tutto riuscito, ma sicuro nel delineare i contrasti e soprattutto le atmosfere, specie nelle paludi del fiume. Alessandro Borghi dà il consueto nervosismo al suo personaggio, ma il "buono" Luigi Lo Cascio vince il duello attoriale. Voto: 6,5.

VERA PIÙ VERA - Vera è Vera Gemma, figlia di Giuliano. Personaggio esuberante, corpo cinematografico notevole, irrompe sullo schermo col suo fare schietto, naif, poco disponibile all'equilibrio e alla compostezza, lacerando il racconto con strappi improvvisi e tanta umanità. Tizza Covi e Rainer Frimmel la seguono quasi senza farsi notare, in un documentario libero, ironico e pieno di vita, che non si dimentica facilmente. Voto: 7.

MORIRE D'AMORE - Nell’ottobre 1980 due ragazzi, Giorgio e Antonio, vengono uccisi a Giarre perché si amavano. Partendo da questo atroce fatto di cronaca, ancora oggi irrisolto, Beppe Fiorello esordisce alla regia con “Stranizza d’amuri”, puntuale ricostruzione familiare e d’epoca (spostata in avanti di 2 anni, durante il Mundial vinto in Spagna) che rischia un po’ di soffocare la storia intima dei due ragazzi, per almeno un’ora (metà film) tenuta in attesa. Purtroppo Fiorello non è Ozon (soprattutto di “Estate ‘85”), ma non difetta di sensibilità, semmai di un po’ di coraggio nell’esplicitare la relazione, fin troppo casta. Amore, disonore: credibili i due giovani interpreti. Voto: 6.

UN BRUTTO FATTO, UN BRUTTO FILM - La preside di una scuola media convoca i genitori di tre ragazzi in una palestra dell’istituto per comunicare una grave situazione in cui sono coinvolti i figli. Lo choc della notizia comporta una reazione via via sempre più aggressiva. Tratto dalla pièce teatrale “La palestra” di Giorgio Scianna e sceneggiato (male) dai fratelli D’Innocenzo, “Educazione fisica”, opera seconda di Stefano Cipani, di cui si ricorderà il mediocre “Mio fratello rincorre i dinosauri”, si dimostra un’operazione volutamente e ferocemente programmatica e per niente credibile (a cominciare alla curiosa convocazione), da risultare oltremodo piatta nella recitazione (cast sprecato) e incolore nella regia. Da evitare qualsiasi riferimento al polanskiano “Carnage”, perché totalmente fuori luogo. Voto: 3.

 

Ultimo aggiornamento: 24-03-2023 12:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA