Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Le madri e la Storia di Pedro illuminano
Freaks più ambizione che risultato

Giovedì 28 Ottobre 2021

“Madres paralelas” è un film a doppia concatenazione, che si muove nell’incrocio di due madri in ospedale e l’ulteriore parallelo tra i corpi dei neonati, che saranno oggetto di una scansione imprevedibile della storia, e quello dei morti sotterrati in fosse comuni dai franchisti al tempo della dittatura che chiedono giustizia, perché mai come adesso Pedro Almodóvar ha sentito l’urgenza di accomunare ai suoi temi più cari, sempre più declinati secondo una cadenza della maturità (e quindi appunto al passato), quelli più scopertamente politici, ristabilendo contatti con la Storia più nera e più truce della Spagna. Janis (Penélope Cruz, nel suo ruolo più complesso di sempre, premiata a Venezia) è una fotografa di moda, che ha una relazione occasionale con Arturo, che è sposato e si sta interessando per ottenere il via allo scavo di una zona che nasconde probabilmente i corpi di desaparecidos, tra i quali il bisnonno di Janis. Janis rimane incinta e in ospedale, dove arriva per il parto, conosce Ana, una adolescente che aspetta anch’essa un bambino, frutto del traumatico rapporto con tre ragazzi, dalla violenza fisica e psicologica. Tornate a casa si incontrano presto di nuovo casualmente, ma il bambino di Ana nel frattempo è morto. Le due donne intensificano una forte amicizia, che sfocia anche in un rapporto erotico, mentre un dubbio assale Janis, che porterà la storia a sviluppi sorprendenti. Intanto finalmente iniziano i lavori alla ricerca dei cadaveri. Se cercate la graffiante ironia, la formidabile provocazione, l’esuberante esagerazione di Almodóvar di un tempo, sono andate via via scolorandosi, lasciando la scena a una crescente malinconia, a un pathos che intensifica rimorsi e solitudini, alla brevità restante di una vita spesso consumata tra assenze, lontananze, dimenticanze. Siamo insomma da tempo dalla parte della lacrima e della commozione (che in realtà non mancavano anche prima), del bisogno di un avvicinamento, di corpi e di anime. Ed è naturalmente ancora un film di donne e sulle donne, come Pedro ha (quasi) sempre fatto e mai come stavolta imperfette, che si trovano a convivere una realtà complicata, straziante, dove realizzare la propria vita è un’impresa e sempre a scapito di altri, quando amarsi e perdersi è anche fonte di relazione familiari complesse, dove ci si allontana con facilità. E in questa storia dove ogni corpo reclama il proprio giusto posto nella storia (fossero anche neonati), Almodóvar si permette di ristabilire contatti con la Verità della Storia e il desiderio di una pace personale, non prima di un’ulteriore, agghiacciante scena conclusiva, che sembra il monito affinché il Male non vinca di nuovo. Quella fossa di scheletri, dove oggi si sdraia simbolicamente chi quei corpi ha riesumato, toglie il fiato. Voto: 7,5.

DAL CIRCO ALLA GUERRA - Non c’è dubbio che a Gabriele Mainetti, diventato celebre con “Lo chiamavano Jeeg Robot”, il coraggio non manchi; a difettare semmai è il risultato finale, indicatore di una bulimia narrativa che rischia, in diversi punti, di ingolfare il motore del racconto. Siamo a Roma nel 1943, subito dopo l’Armistizio, con i tedeschi in casa già avviati a seminare terrore. Siamo dentro a un circo, dove ci stanno 4 personaggi curiosi, fenomeni da baraccone, alla corte di Israel: un’esplosione improvvisa ci dice che siamo appunto in un periodo di guerra. I cinque vogliono fuggire, Israel raccoglie i risparmi di tutti e poi sparisce. Nel frattempo un altro circo, di matrice tedesca, opera in zona, non con gli stessi benefici intenti. Mainetti gioca a fare le cose (troppo) in grande con "Freak"s out" e soprattutto dà libero sfogo alle sue passioni cinematografiche, non risparmiandosi: si parte con “Roma città aperta” e si arriva anche a “La signora di Shanghai”, ci sono inoltre Fellini e Tod Browing, Tarantino e Benigni, Spielberg e la Marvel, e tanto altro ancora, perché da “Bastardi senza gloria” (altro immediato punto di riferimento) ormai tutti provano a cambiare anche la Storia. Se da un lato è lodevole cercare nuove strade e avere ambizioni di produzioni robuste (e qui ci siamo, e anche si vedono), poi bisogna trovare anche un equilibrio interno al racconto, saltando dal dramma alla commedia, dal fumetto alla Storia (si pensi ai partigiani, molto macchiettistici), perché far ridere e far esplodere in modo visivamente rilevante anche la tragedia, con gente inerme freddata già ferita a terra, non è semplice; e se le avventure dei fantastici 4 strappano più di qualche volta il sorriso, mezz’ora di battaglia cruenta attorno a un treno diretto ai lager nazisti è decisamente troppo. È un film caciarone, che rischia per troppi stimoli di diventare perfino noioso, nonostante il cast (Santamaria, Pietro Castellitto, Aurora Giovinazzo, Giancarlo Martini, Tirabassi e Franz Rogowski) sembra divertirsi. Peccato, un po’ meno ambizione e un qualche spicciolo in più di moderazione (anche nelle lodi avute per il film d’esordio) avrebbero sicuramente giovato. Voto: 5.

NEL GELO ISLANDESE -  Un poliziotto islandese perde la moglie in un incidente stradale. Tormentato dall’idea che la consorte possa averlo tradito e in grande difficoltà nell’elaborare il lutto, sfoga la sua crisi entrando in conflitto con familiari, colleghi e la comunità tutta, mentre ristruttura personalmente la casa di famiglia. Al di là di quest’ultimo elemento simbolico, il secondo film dell’islandese Hlynur Pálmason contiene quella glacialità tipica del cinema nordico, che a taluni può sembrare fin troppo stilizzata, ma che in realtà racchiude quel senso di sentire le cose, attraverso i sentimenti e il paesaggio che li nutrono. Una riflessione sulla percezione del tempo a quelle latitudine, dove tutto sembra costantemente sospeso. Ne esce un film esteticamente rilevante, narrativamente secco, il cui montaggio spiazzante evidenzia un disturbo psichico allarmante. Sull’orlo della follia, il percorso del poliziotto conosce le tappe di un’ossessione incontrollata, che il bianco dominante sullo schermo sembra considerare perfino come paradosso esistenziale. Alcune sequenze di "A white white day - Segreti nella nebbia" lasciano il segno, come il racconto horror alla bambina, lo scontro al distretto di polizia con i colleghi, e il confronto notturno con l’amante. Voto: 7.

GIOVANI E DOMANI - Cosa pensano oggi i giovani italiani? Quali prospettive hanno per il futuro? Che tipo di società immaginano? Tre registi italiani attraversano il Paese in cerca di un “archivio” futuro che spieghi l’oggi con gli occhi e la testa di chi avrà un domani. Sulla scia di Comencini, Soldati e soprattutto Pasolini, la cui eco di “Comizi d’amore” è piuttosto evidente, pur nella diversità dell’approccio dei registi, Marcello, Munzi e Rohrwacher mantengono con "Futura" una distanza con il mondo investigato, cercando di colmarla attraverso anche i propri pensieri, con la propria voce fuori campo, ma senza volersi intromettere. Ne esce un documentario interessante ma forse anche un po’ gonfio qua e là di retorica, dove non sempre i ragazzi danno idea di “spontaneità”. Un insieme collettivo che alla fine riesce a dare comunque una sufficiente mappatura attuale degli adolescenti. Molto bello il finale, che però sembra appartenere ad altro. Voto: 6.

 

 

 

 

Ultimo aggiornamento: 21:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA