Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Grande Larraín: Lady Diana all'Overlook
Amori e inquietudini nella Parigi del 13°

Giovedì 24 Marzo 2022

Un giorno o l’altro capiremo perché Pablo Larraín, forse il più talentuoso della nuova generazione di registi cileni, non riesca mai a conquistare quel premio (un Leone, un Orso, una Palma) che ogni volta sembra a portata di mano e che invece ogni giuria sempre gli nega. Stavolta è successo a Venezia, con questo suo ultimo film, finalmente in uscita dopo vari rinvii, di sicuro tra i più controversi, da quando ha iniziato una collana di figure femminili, reali o immaginarie (Jackie, Ema e ora Lady D). D’altronde non c’è figura popolare e tragica negli ultimi decenni come Diana. La sua morte, che ha agitato spesso pensieri di complotti, è stata un autentico trauma collettivo e ancora oggi il suo ricordo è vivissimo. Era quindi un’idea rischiosissima portare sullo schermo più che un biopic (e non lo è), un ritratto personale di una persona così “ingombrante”, ma come con “Jackie”, il regista cileno affronta con lucidità l’immagine riflessa all’esterno del Potere (in questo caso la Casa reale britannica) attraverso la persona che lo attraversa, portando Lady D a farsi soggetto di una ribellione a regole e imposizioni secolari e soprattutto ridicole, come quella della registrazione del peso in entrata e in uscita. Siamo nella residenza reale di Sandringham, nei tre giorni a cavallo del Natale 1991, quando la famiglia si scambia i doni. “Spencer” (dal cognome di Diana) inizia come uno dei film sulla dittatura cilena che hanno reso famoso e importante Larraín: una sfilata di camion militari nella campagna del Norfolk che per fortuna trasportano solo derrate alimentari. Mentre tutti rispettano orari e protocolli reali, Diana si perde nella campagna, giungendo assai in ritardo. Qui la principessa del Galles sarà interprete di continue conflittualità con tutti, che annunciano un futuro di devastanti, definitivi distacchi. Larraín trasforma la lussuosa resistenza in una sorta di prigione, che chiude porte e finestre al mondo (le tende incernierate), nella quale Diana si sente prigioniera, ma cinematograficamente fa di più: firma il suo “Shining” dove la residenza sembra un ulteriore Overlook hotel: lo testimoniano il sospetto verso Diana di una pazzia crescente, la scena della cella frigorifera (grandissimo Timothy Spall), i corridoi, l’uscita notturna con la torcia e lo scambio di persona allo specchio, come nella camera 237. In questa favola tratta da una tragedia vera, come Larraín avverte a inizio film, ci sono grandi, struggenti momenti di cinema, come la spettrale cena con il gruppo d’archi e soprattutto quelle tra Diana e i figli, e qualche piccolo difetto: simbolismi forse eccessivi e un’insistenza sul parallelo azzardato con Anna Bolena (invadente fantasma). Notevole Kristen Stewart che evita il ricalco, cercando di uscire da un facile stereotipo. Voto: 8.

PARIGI, 13ARR. - Nel 13° arrondissement parigino, quartiere Les Olympiades (titolo originale del film), con i suoi svettanti grattacieli, giovani donne e uomini dividono amori, amicizie, desideri, precarietà. In uno scintillante bianco e nero, Jacques Audiard scruta la quotidianità di infelici esistenze, tre personaggi di una generazione in cerca di se stessa. Scritto con Céline Sciamma e Léa Mysius, è una mappa profonda dell’immagine multiculturale della capitale con uno sguardo intenso, crudo e al tempo stesso affettuoso, aggiornandola ai rapporti tecnologici che la contemporaneità impone. Per un vincitore di Palma d’oro (sbagliata con “Dheepan”, quella giusta era per “Il profeta”), un film tutto sommato piccolo, ma capace di far sentire come pulsa la vita. Voto: 7.

 

 

Ultimo aggiornamento: 25-03-2022 13:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA