Al suo nono film, Luca Guadagnino riflette su William S. Burroughs: portarlo sullo schermo è di per sé un’impresa rischiosa; lo sa bene anche Cronenberg, per dire uno che scarso non è. Tradurre in immagini atmosfere lisergiche, situazioni oniriche, parole in totale libertà richiede una padronanza stilistica, una coerenza (anti)narrativa, una continua decostruzione allucinatoria. Con “Queer”, il suo film più personale e più ambizioso, Guadagnino in realtà riformula, condensa, espande il suo cinema, portando i temi cruciali, a cominciare dalla presenza/assenza dei corpi, in un irrequieto stazionamento, dentro immagini che cercano costantemente una dimensione percettiva, che alimenti una voglia di fuga. Messico, primi anni ’50. Qui Lee, un americano espatriato, omosessuale, alter-ego dello stesso Burroughs, girovaga da un bar all’altro, in cerca di alcol e sesso occasionale. La conoscenza con Eugene, un giovane studente apparentemente legato a una donna, forse gli permette di costruire faticosamente una relazione.Senza farsi sfuggire l’iniziale presenza della cover di Sinéad O’Connor di “All apoligies” dei Nirvana, un manifesto già indicativo, il film si divide in alcune parti autonome, compreso prologo ed epilogo, strutturate anch’esse in modo indipendente: ne sono un chiaro esempio il percorso di viaggio, formulato per sole immagini, quasi in assenza di dialoghi; o a quello nettamente psichedelico nella giungla, quando ormai la situazione è sempre più delirante e fuori controllo. Illuminato sempre in modo iperrealistico, con il furore dei rossi e il blu quasi glaciale, che mettono in evidenza un contrasto emotivo, “Queer”, girato interamente a Cinecittà, ha il senso di un continuo accerchiamento, di una ricerca ostinata dell’altro negato, di un abisso senza gravità. Mai Guadagnino ha cercato di essere così esplicito nelle scene di sesso, pur restando sempre a un passo protettivo: anche qui le due nudità frontali di prostituti casuali sono sfuggenti, mentre i pochi amplessi mantengono il pudore conosciuto del regista, anche nella prolungata scena della giungla, dove i corpi si amalgamano in modo irreale. Non mancano echi lynchani, già evidenti nelle iniziali scene del bar, nell’ovvio corridoio rosso finale e in quella “evaporazione” dei corpi, qualche debito a “Querelle”, con un bellissimo finale kubrickiano, dove definitivamente il corpo presente/assente si assume la centralità dell’opera. Guadagnino affronta Burroughs con l’unica arma che gli appare congeniale: la chiave personale del suo cinema, ormai perfettamente codificato, trovando un equilibrio formale esasperato e appagante. Daniel Craig, ex 007, si mette coraggiosamente in gioco; Drew Starkey è il corpo dell’ossessione, dalla grazia insolente. Voto: 8.
LA CINA, IERI OGGI DOMANI - Uno dei migliori registi cinesi racconta da sempre la trasformazione incontrollata della Cina, da arcaico paese rurale a nazione moderna dominata dal profitto e dall’edilizia selvaggia, che sacrifica territorio, natura e villaggi. “Generazione romantica” ha una trama stringata in un film nello scorrere del tempo (tra il 2000 e oggi), tra musiche e canti, per arrivare al cuore delle rivoluzioni urbanistiche e sociali. Qiao e Bin s’innamorano da giovani, ma Bin un giorno se ne va e Qiao, col tempo, decide di cercarlo. Ma gli amori interrotti faticano a riprendere la corsa. Jia Zhang-ke attinge a tutto il suo cinema: lo riassume, lo rielabora, lo stempera, mostrandosi ancora capace di distillare memoria, rimpianto e anche rabbia. Voto: 7,5.
IL PERICOLO CORRE SUL WEB - Ryosuke opera nel web come Ratel. Rivende qualsiasi cosa, adattando i prezzi a un guadagno considerevole. Si licenzia, si trasferisce con la sua ragazza, ma l’attività inizia ad avere problemi: chi compera lo accusa di barare. Kurosawa si conferma regista di lucida osservazione contemporanea (“Cloud” ci riporta al luogo virtuale della rete), mostrandone soprattutto i risvolti più inquietanti. Così la vita di un piccolo furfante diventa un intrigo pericoloso, dove il pericolo è costante e a parlare sono le pallottole. Dallo sfaldamento morale della società, Kurosawa riverbera questioni morali attraverso il “genere”, portando tutti alla più irrimediabile sconfitta. Voto: 7.
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