Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Il nero più nero si addice a The Batman
E furti spassosi e attori porno stanchi

Venerdì 4 Marzo 2022

La prima sensazione che lascia The Batman di Matt Reeves assomiglia a quella che, per chi ha diversi anni come chi scrive, ci colse alla fine della proiezione di Blade runner alla Mostra del Cinema, anno 1982, un’eternità fa, con l’unica differenza che il film di Ridley Scott compiva davvero l’ardito tentativo di essere fondativo di un nuovo immaginario (da 40 anni copiato e ormai consolidato), affrontando l’impegnativa ambizione di fondere fantascienza e noir, attraverso codici e personaggi che trasudavano tormenti esistenziali, appartenenza di genere (umano?) in uno scenario architettonico mai così sbalorditivo dai tempi di Metropolis. Reeves non può fare questo, operazione di per sé ormai impossibile nel cinema di genere, e sposta appropriatamente la mira in una sintomatica, febbrile, perfino tellurica riappropriazione di molti percorsi cinematografici, trasudando il desiderio di ribaltare codifiche narrative ed estetiche inevitabilmente derivative in un corpus maledettamente stimolante e di indiscutibile fascino, a partire dall’atmosfera dark per finire a un’ossessiva ricerca visiva del dettaglio e della rilevanza del fuori fuoco.

La prima ora è un manifesto programmatico, risolto efficacemente, che si nutre di rimandi inequivocabili (su tutti, come è già stato detto Seven e Saw-L’enigmista, non solo per l’insistita pioggia plumbea e per il sadico gioco degli indovinelli), coltivando l’idea di una palingenesi di un personaggio, ormai divorato dalla sua stessa celebrità, espandendone ancora di più l’angoscia di una vita solitaria e disperata, nel quale Batman sprofonda aggiungendo all’oscurità di Nolan, il nero assoluto di Fincher, che sul nero ha costruito la sua fortuna. Se la violenza viene sublimata da un’estetica puntigliosamente stupefacente (si pensi anche allo sbalorditivo inseguimento su strade notturne nel diluvio, valorizzato da un montaggio quasi prepotente), la dualità del personaggio, al quale Robert Pattinson aggiunge da Bruce Wayne una prevalenza emo malinconicamente tenera, fa affiorare le varie contrapposizioni (Bene/Male, corruzione/onestà, giustizia/insabbiamento, padri/figli), anche nel loro versante più romantico, come tutta la relazione con Catwoman. In definitiva l’urgenza narrativa di Reeves, ancora più che in Nolan, sembra essere quella di sganciarsi dalla riconoscibile immagine “fumettistica” per approdare a un ritratto denso di un uomo soffocato dal travaglio di vivere, rincorrendo la propria verità.

Reggendo lo spettacolo per quasi tre ore, nonostante l’ultima parte si “normalizzi” appropriandosi di tutta un’inevitabile lettura “politica” e compiacendosi in una cascata di finali anche evitabili, l’ultimo The Batman (con un volitivo articolo nel titolo), è quasi una sinfonia rapsodica di elementi riconoscibili, in cui la musica di Michael Giacchino si sposa con Schubert e Kurt Cobain, la fotografia di Greig Fraiser reprime ogni volontà di uscire dal buio, e il resto del nobile cast asseconda figure luciferine (il Carmine Falcone di John Turturro), istrioniche (il delirante Edward di Paul Dano, l’irriconoscibile Colin Farrell nei panni del Pinguino) e contrappuntistiche (la Catwoman di Zoë Kravitz), quest’ultima chiamata all’autentico finale, quando ognuno è destinato al proprio futuro, mentre Gotham City raccoglie le proprie macerie, non solo architettoniche. Voto: 8.

IL RITRATTO DEL DUCA - Se avete voglia di un film leggero, divertente, ma non banale; una commedia che racconti un episodio straordinario, un furto al quale nessuno vorrebbe davvero credere, in cui lo spasso è intelligente, la sceneggiatura perfettamente oliata e gli interpreti straordinari; insomma uno di quei film dai quali si esce soddisfatti, sapendo di avere visto tutto sommato solo una cosuccia di quelle che non definiresti mai imperdibile ma che non ti fa rimpiangere il tempo perso, Il ritratto del duca è indubbiamente una scelta azzeccata. Siamo alla National Gallery di Londra, anno 1961. Kempton Bunton fa il tassista. Ha una sessantina d’anni, non è proprio il padre di famiglia perfetto e soprattutto ha il fiuto per le cause perse, specie se a favore di poveri e pensionati. Proprio per venir loro incontro passò brillantemente alla cronaca come il ladro più estemporaneo e filantropo della storia dei furti, quando riuscì a eludere la sorveglianza e a sottrarre al prestigioso museo britannico il celebre quadro di Francisco Goya, noto come il “Ritratto del Duca di Wellington”, chiedendo come riscatto iniziative economiche a favore dei pensionati, a cominciare dall’abolizione del canone televisivo. Deliziosa commedia brillante, che altri troveranno piuttosto scontata e classicamente paludata sulla forza consolidata del buon cinema inglese, che il regista sudafricano Roger Michell, al suo ultimo film prima di morire, al contrario, ravviva con una buona energia e un senso ironico delle apparenze e delle sicurezze. Ne esce un ritratto spassoso di un uomo capace non solo di beffare tutto l’apparato investigativo, ma cosciente di essere in qualche modo destinato a scrivere una delle pagine più sarcastiche dei sistemi di sorveglianza, non solo dei musei. Non senza un piccolo colpo di scena finale, la storia è tutta raccolta nella bravura di Jim Broadbent (si vedano le fasi processuali), al quale si offre da spalla, quasi silenziosa e mesta, la sempre godibile Helen Mirren, qui nei panni di moglie e madre, travolta dagli eventi, prima che il tutto si chiuda con un verdetto sensato al processo e una mezza lacrima. Voto: 6,5.

RED ROCKET - Mikey Saber è un attore porno che torna da Hollywood nel natale Texas, ristabilendo rapporti con la ex moglie (e conseguente suocera) e invaghendosi di una cameriera di una caffetteria, nemmeno maggiorenne. Ma è maldestro e sa combinare solo guai. Il sogno americano si infrange sulla stupidità di chi lo vorrebbe conquistare, ma il film si avvia stancamente dentro percorsi prevedibili e ormai consumati, canzoni di appoggio comprese. Più che un dramma, è una commedia amara e ogni tanto si ride. Ma l’originalità è assente, compreso il nocivo panorama industriale, mentre sullo sfondo scorre la campagna presidenziale vincente di Donald Trump contro Hillary.  Voto: 5.

 

Ultimo aggiornamento: 20:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA