Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Desplechin, nel buio di Roubaix
la luce del cinema. Lacci slegati

Venerdì 2 Ottobre 2020

Andate a vedere “Roubaix, une lumière”: è un film bellissimo. Parla di una città, delle sue strade, delle sue case e di quello che ci vive dentro, dei suoi abitanti, della sua povertà, della sua disgraziata quotidianità dove si finisce più spesso al commissariato di polizia che dal panettiere. Roubaix, a due passi dal confine con il Belgio, non è solo conosciuta per essere il terminale di una delle corse ciclistiche più importanti del mondo, ma anche per essere il luogo dove avvengono in percentuale crimini come in nessun altro posto della Francia. A Roubaix, città austera e violenta come si dice nel film, il regista Arnaud Desplechin, autore tra i più significativi del cinema d’oggi d’Oltralpe, ci è nato e ha speso l’infanzia. La conosce benissimo. Per parlare di Roubaix, praticamente non la mostra. Qualche vicolo, un paio di strade notturne, una macchina incendiata, le risse nelle case, un’esplosione nella notte, l’omicidio di una donna anziana: insomma, il suo pulsante cuore malato.
Qui vive il commissario Daoud (Roschdy Zem), di origine algerina, che come il regista ha vissuto tutta la sua vita in quei quartieri. È un uomo che si fida delle sue sensazioni, imparate a vivere in mezzo alla gente fin da piccolo. È un po’ la memoria storica della città: conosce tutti, specialmente i più pericolosi. Ha i suoi problemi: la famiglia, un nipote in carcere, sa come muoversi tra il bene e, più spesso, il male. Lo affianca Louis (Antoine Reinartz), giovane recluta che si trova subito in mezzo al caos. La morte di una anziana, la notte di Natale, porta i sospetti su due donne, che vivono assieme nello stesso vicolo della signora assassinata. Claude e Marie (Léa Seydoux e Sara Forestier) finiscono sotto interrogatorio per ore. Desplechin ne segue minuziosamente tutto il percorso, nei suoi inganni per ottenere una confessione, nei continui ribaltamenti di dichiararsi innocenti, complici, colpevoli. Quando il film, a metà durata, entra in queste stanze, non esce più: è come se Desplechin elevasse il suo poliziesco alla messinscena teorica della ricerca della Verità, dove l’elemento finzionale della rappresentazione suggerisce come il cinema indaghi la vita, il mondo, entrando dentro il reale, per stabilire, come il commissario Daoud in effetti fa, il percorso doloroso di una umanità, più che una colpevolezza lampante e necessaria al fine di chiudere le indagini. A suo modo diventa un kammerspiel che viaggia più sui pensieri che sulle azioni, intento più alla misericordia (“Oh, mercy!” è il titolo internazionale del film), che alla condanna.
Ispirato a un fatto di cronaca, già all’origine del documentario “Roubaix, commissariat central” di Mosco Boucault (2008), il film di Desplechin è scritto, diretto e recitato in modo entusiasmante. Uno dei film dell’anno, non perdetelo. Voto: 8,5.

LACCI
- Napoli, anni ’80: Aldo lavora alla Rai di Roma, è sposato con Vanda. Hanno due figli, ma una sera Aldo confessa a Vanda di aver avuto una infatuazione per Lidia. Vanda lo butta fuori di casa, poi se lo ripiglia, Lidia esce di scena e i figli crescono. Aldo è un pavido, adagiato in una incapacità di confrontarsi sul serio con le donne, il mondo e dilaniato dai sensi di colpa; Vanda è battagliera, rabbiosa e tignosa, propensa a scoppi furiosi; Linda è il temporale, che passa, lascia i segni, e se ne va.
Tratto dal romanzo di Domenico Starnone, che scrive la sceneggiatura con il regista Daniele Luchettii e Francesco Piccolo, “Lacci” svolge questo dramma sentimentale da camera cercando di innervarlo con un montaggio (dello stesso regista assieme a Ael Dallier Vega) chiamato a spaiare tempi e situazioni. Luigi Lo Cascio e Alba Rohrwacher sono convincenti, meno la loro copia anziana (Silvio Orlando e Laura Morante), che riproduce il cliché delle accuse e delle responsabilità. Abbastanza improbabile il colpo di scena finale governato dai figli (Giovanna Mezzogiorno e Adriano Giannini). Un film che si nutre di simbologie evidenti (i lacci, la distruzione della casa, le fotografie-puzzle di Lidia) e che rischia di lasciare indifferenti più di quanto forse meriterebbe. Voto: 5,5.

PARADISE-UNA NUOVA VITA
  - Un testimone di un delitto mafioso viene protetto grazie allo spostamento dalla Sicilia a Sauris, dove però, per un errore, arriva anche successivamente il killer, nel frattempo diventato un collaboratore di giustizia. Del Degan porta due solitudini obbligate a confrontarsi con sé e con l’altro; e ovviamente con un territorio completamente nuovo e sconosciuto. Una prima parte più problematica, che cerca di stemperare il dramma in commedia, ma una seconda, più cupa e angosciante, che apre a soluzioni inaspettate. Finale efficace. Voto: 6.
 

  Ultimo aggiornamento: 03-10-2020 11:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA