Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Comedians, Salvatores ritrova lo spirito
Guzmán e Chaves, orrore vero e finzionale

Venerdì 11 Giugno 2021

Chiudendosi dentro uno stanzone, un’aula scolastica con tanto di banchi, cattedra e lavagna, Gabriele Salvatores ha meno possibilità di divagarsi, distrarsi, cercare percorsi alternativi, che hanno fatto di lui un regista sempre pronto a rischiare, senza riuscire spesso a dar valore alle proprie scommesse, come se le intenzioni non tenessero il passo dei risultati. Non è un caso che bisogna forse ritornare a “Io non ho paura” (e siamo al lontano 2003) per avere un film che non lasci alla fine perplessità significative e non è assolutamente un caso che ritrovare il regista alle prese con un testo che lo aveva già interessato agli inizi di carriera (“Kamikaze – Ultima notte a Milano” – e qui siamo addirittura al 1987, portato anche sul palcoscenico con il Teatro dell’Elfo) lasci la sensazione che almeno si arrivi in fondo senza perdere troppi pezzi per strada. Siamo quindi ancora dalle parti della pièce teatrale firmata da Trevor Griffiths, nella quale i personaggi sono in cerca di un ingaggio futuro, dilettanti che sperano di sfondare nel mondo dello spettacolo. E per ottenere un risultato sono pronti a sfidarsi, sotto l’occhio giudicante di chi possiede il potere di dare o non dare questa possibilità. “Comedians” è in pratica tutto qui, nel suo costante riverbero di una messa in scena che parla di se stessa, di un ruolo (il comico) che si insinua nel gioco maledetto col pubblico, perché «l’uomo è l’unico animale a ridere», di una lotta serrata che costringe ognuno a comprendere prima di tutto il proprio limite. Una “stand up comedy” (una commedia che vede un attore in piedi davanti al pubblico, in cerca di divertimento) che moltiplica le azioni, che condensa la rabbia e la speranza, interrogandosi a lungo sui contenuti, sull’aspetto spesso razzista della comicità (ebrei, donne, omosessuali) in un’attualità d’oggi dove tutto deve essere ossessivamente corretto, mirando a una lettura ansiosa del tempo, pronto a scandire puntigliosamente i passaggi della serata (preparazione, performance, giudizio). Gli attori fanno il resto, da Ale e Franz fino al giovane Giulio Pranno, mostrando cedimenti ed arroganze, mentre il “maestro” Natalino Balasso e il “giudice” Christian De Sica, al di là di tutti i rimandi metalinguistici (soprattutto pensando a quest’ultimo e al suo ruolo nel cinema popolare) delineano malinconiche consapevolezze del ruolo e della disillusione dell’insegnamento, e la protervia dell’esaminatore. Semmai a Salvatores, chiuso e protetto dalla rappresentazione schematica, pur ravvivata dal montaggio di Chiara Griziotti, manca il salto definitivo: far esplodere sul serio il contenuto nella sua ruvida, graffiante destabilizzazione, accontentandosi di suggerirne il contesto, senza che la risata seppellisca sul serio il mondo. Voto: 6.

LE ANDE, IL CILE E PINOCHET - Il ritorno a Santiago del regista cileno, in un paesaggio dominato dalle Ande, maestoso nella sua stordente bellezza. Se l’acqua e la luce avevano accompagnato lo scandaglio della memoria, nei suoi precedenti documentari, stavolta è la roccia il mistero che la racchiude, perché tutta la vita della grande capitale parte da lì, da quella spina dorsale granitica, che protegge e imprigiona la vita. Guzmán, che accompagna il documentario con la propria voice over, ascolta i ricordi di amici e artisti, ricostruendo gli anni tragici della dittatura di Pinochet (qui attraverso le impressionanti immagini girate allora da filmmaker Pablo Salas) e mostrando come il benessere economico di oggi del Cile, figlio del neoliberalismo dove le disuguaglianze sociali restano enormi, discenda direttamente da quegli anni bui di terrore. Ed è ancora la natura a marcare il territorio e la Storia, perché come noi osserviamo ammirati la Cordigliera, essa ci guarda, probabilmente non altrettanto ammirata. Un nuovo grande documentario, dove le immagini stupefacenti della natura si alternano a quelle sconvolgenti degli umani, con le retate dei militari e violenza sui manifestanti, ai tempi della dittatura. Voto: 7,5.

IL DIAVOLO, PROBABILMENTE - Connecticut, una quarantina di anni fa: un bambino di 8 anni sembra posseduto dal demonio. Durante l’esorcismo, il giovane Arne, il ragazzo della sorella del bambino, per risolvere la questione ormai fuori controllo implora Satana di lasciare il piccolo e di prendere in cambio il suo corpo. Tempo dopo Arne ammazza brutalmente un uomo, ma al processo rivela di essere comandato dal diavolo. Tratto da una storia vera, il terzo capitolo della saga “Conjuring”, alla quale vanno aggiunti gli spin off “Annabelle” e “The nun”, riporta in luce l’attività della coppia Warren, i coniugi Ed e Lorraine, anch’essi realmente esistiti, che dal 2013 (quando iniziò il percorso cinematografico firmato da James Wan) appaiono nelle vesti di infaticabili “studiosi” del paranormale, stavolta diretti da Michael Chaves, già autore di “La Llorona – Le lacrime del male”. Ne esce un film che si confonde sulla traccia da seguire (tutta la parte, forse la più interessante, del processo e della rilevanza demoniaca fra le prove, è soltanto laterale), che abbonda di schemi e citazioni ormai abusate (ancora “L’esorcista”?) e sposta l’attenzione su un horror destabilizzato da se stesso, preferendo avventurarsi tra occultisti e puntuali contorsionismi dei malcapitati. Voto: 5.

Ultimo aggiornamento: 12:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA