Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Che noia il cinema-pattern di Wes Anderson
Non è più vivace il massaggiatore dell'Est

Venerdì 12 Novembre 2021

Ci sono (pochi) registi (Kubrick, Wilder…), definiti eclettici, che si propongono ogni volta con film e generi diversi; altri, assai di più, che rimangono fedeli al proprio “genere”; altri ancora, la maggioranza, che rimangono nello stesso ambiente, geografico e sociale; altri ancora che fanno sempre lo stesso film. E poi c’è Wes Anderson, che della replica di sé ha fatto fortuna, godendo di un interesse straordinario e puntualmente smodato, finendo per essere un regista chiuso nelle sue dinamiche fino all’ossessione, prigioniero di un suo “mondo” ricostruito e riprodotto fino alla sfinimento, passando, e questo è l’aspetto più sbalorditivo, per un regista che sembra voler dire sempre tante cose e invece, al di là della ripetitività, che è un’aggravante, dice poco e, adesso col passare del tempo, sempre meno. Nella città francese immaginaria di Ennui-sur-Blasé si stampa il supplemento settimanale del quotidiano americano Evening sun di Liberty, Kansas. Quando il proprietario muore, viene pubblicato una specie di “best of” degli articoli apparsi negli anni, prima della chiusura definitiva: quattro di questi diventano oggetto del film. La vitalità di una redazione, la curiosità per i fatti che accadono, la dinamica del rapporto con i lettori vengono frullati nella consueta riproposizione tra il moribondo e il disincantato, in una sorta di realtà immaginaria e artificiosa, a tratti anche esilarante, che senza dubbio qui è un atto anche d’amore verso un mestiere (riprodotto nella maniacale rubricazione da catalogo), e diciamo anche verso l’Europa da parte di un americano, che sente un gap storico e forse anche culturale intramontabile. Presentato all’ultimo festival di Cannes, con un cast semplicemente pazzesco, è anche una benevola razzia interna al cinema. Peccato che, anche in “The french dispatch”, Wes Anderson sia capace con la sua insistenza estetica a rendere ogni storia vittima di un meccanico sberleffo, mai corrosivo ma semplicemente manieristico, come la composizione di ogni inquadratura dalla simmetria esasperata, ogni carrello laterale, ogni caramellosa scenografia, qui tutto in formato 1:1. Peccato perché l’incontenibile fantasia di Anderson, fin troppo esuberante, meriterebbe maggior elasticità. Non è un caso che il meglio gli venga quando entra nell’area dell’animazione, dove le sue fissazioni si esprimono più compiutamente e il margine di manovra surreale è giustificato. Molti comunque si divertono, ma non c’è mai sorpresa. E il crogiolarsi dentro il proprio cinema-pattern è sempre più sfiancante. Stare comunque al gioco di questa insopportabile ludica noia, aiuta. Solo che ogni gioco è bello quando dura poco e forse questa sembra essere finalmente la pietra tombale di uno stile ormai esangue (e d’altronde si parla di una doppia morte). D’altronde: quanto potrebbe durare ancora? Voto: 4.

MASSAGGI DAL PASSATO - Fantasmi si aggirano in un mondo spettrale. Siamo in una specie di periferica enclave residenziale borghese, fatta di villette tutte uguali, abitata da persone che vivono un’esistenza in catalessi, attendendo l’arrivo di un massaggiatore ucraino che parla russo. Chi sia non si sa. Arriva, fa il suo lavoro, va altrove. La polacca Małgorzata Szumowska firma, assieme al sodale Michal Englert, forse la sua opera più radicale, con una narrazione quasi astratta, nonostante la potente presenza dei corpi. La neve del titolo “Non cadrà più la neve” non è solo quella atmosferica ma anche la cenere trasportata da Chernobyl e il tentativo è quello di rappresentare metaforicamente la rimozione totale del passato, dove il massaggiatore è l’intruso probabilmente fantasmatico (e infatti alla fine sparisce come in un gioco di prestigio), che dà sollievo ai corpi e alle anime. Presentato alla penultima Mostra di Venezia, punta sulla modalità ripetitiva per codificare un sistema, monocromatico come la fotografia che estingue la luce e il colore. Ma per far questo, la Szumowska affonda il film in un clima cimiteriale, lo carica di riferimenti sviluppati in modo grezzo, non solo quelli dedicati a Tarkovskij, e pone lo spettatore tra la noia e la catarsi. Voto: 5.

LETTERE DALLA GRANDE MELA - Nella New York anni ’90 arriva la giovane Joanna, aspirante scrittrice, che cerca un futuro nella Grande Mela letteraria. Diventa assistente di Margaret, agente di Salinger, da tempo votato alla clausura sociale. Il suo compito è quello di rispondere alla moltitudine di lettere, che arrivano quotidianamente dai fan dello scrittore. Firmato da Philippe Falardeau, “Un anno con Salinger” è un racconto grazioso, carino, ma anche piuttosto inconcludente, sulla scrittura, sulla voglia di realizzare i propri sogni e di emergere in campo letterario. Margaret Qualley si ferma all’esibizione della sua bellezza, solo Sigourney Weaver dà un po’ di ebbrezza attoriale. Voto: 6.

 

Ultimo aggiornamento: 09:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA