Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Cannes 76, i verdetti. Vince Justine Triet
all'Italia restano solo chimere

Domenica 28 Maggio 2023

La delusione c’è. Tre film italiani in corsa per la Palma d’oro. Zero premi. E mica tre qualsiasi: Bellocchio, Moretti e Alice Rohrwacher. Tutt’e tre amati in Francia, talora osannati. Ma Bellocchio viene apprezzato spesso ai festival per la carriera complessiva, ma i suoi film singoli non hanno mai vinto il premio più importante ai grandi festival e le sue storie, peraltro raccontate sempre con forza ed espressività notevoli, forse risentono troppo di un’esclusività tutta italiana; Moretti in Francia è quasi venerato ma per questo film, che pochi all’estero avranno capito, è stato abbandonato ed è finito all’ultimo posto nella classifica dei voti internazionali della stampa e forse in Italia ci siamo lasciati tutti trasportare un po’ troppo sull’onda dell’emozione; Alice ha meno rimpianti: qui ha sempre raccolto molta soddisfazione, stavolta resta anche lei senza premi, può capitare e rispetto agli altri è ancora giovane. Di speranze insomma forse ce n’erano un po’ troppe, ma poi guardando in giro gli altri film si scopre che trattano argomenti più urgenti e lo fanno con uno sguardo probabilmente più contemporaneo. E il risultato è questo. E la chimera (generale) resta tale.

Del resto alla Giuria governata dallo svedese Ruben Östlund, regista indorato nel recente passato con ben due esagerate Palme d’oro, non si può rimproverare di non aver individuato i film più meritevoli, che ci sono quasi tutti; ma di averne sbagliato la collocazione certamente sì. A cominciare dalla Palma d’oro, che va ancora una volta a una regista, guarda un po’, francese: due anni fa al sopravvalutatissimo “Titane” di Julia Ducournau (quest’anno in giuria), e senza dimenticare anche Audrey Diwan (Leone 2021 a Venezia con “L’événement”), stavolta tocca a Justine Triet che sbanca la Croisette con “Anatomie d’une chute”, bel film per carità ma che non merita il massimo dei premi, togliendolo tra l’altro alla sua interprete, Sandra Hüller, scrittrice tedesca in vacanza accusata di aver ucciso il marito, che il premio come miglior attrice lo avrebbe strameritato, andato invece a Merve Dizdar del film turco Ceylan “About dry grasses”, dove semmai era meglio l’interprete maschile e in seconda battuta la sceneggiatura.

Insomma grande è come sempre la confusione. Si accetta quindi il Grand Prix a Jonathan Glazer (“The zone of interest”), geometrica, glaciale rilettura dell’Olocausto, che avrebbe meritato di più la regia o meglio la Palma, mai come il finlandese Aki Kaurismäki, da anni amato da tutto il mondo del cinema, tranne dalle giurie, che qui si è trovato tra le mani per il suo “Fallen leaves” solo il Premio della giuria, davvero poco. Accettabile la sceneggiatura a “Monster” del nipponico Kore-eda, la regia al franco-vietnamita Tran Ahn Hùng per “La passion de Dodin Bouffant”, lievissima storia d’amore girata praticamente tra le pentole in cucina. E giustamente meritato il premio a Kōji Yakusho, il pulicessi pubblici di Tokyo, nel ritrovato Wenders di Perfect days”. Restano fuori Todd Haynes, Jessica Hausner (che però ha diviso assai) e Ken Loach, con il quale tuttavia in passato Cannes non è stata avara. Momenti clou: l’inattesa apparizione, grazie a Tarantino, di Roger Corman; e la filippica della regista Palma d’oro contro la politica di Macron, al ritiro del premio.

È stato un Concorso molto buono, probabilmente ottimo nonostante qualche piccola caduta rumorosa, a volte peggiorata dall’insistenza ossessiva di uno stile ripetitivo, come nel caso di Wes Anderson. Ma la media-voto generale è alta, un significativo segnale. Ma l’ultima edizione ha confermato come ormai i grandi festival desiderano essere sempre più dei grandi contenitori, dove è difficile poter sfruttare l’occasione di vedere film altrimenti “invisibili”, perché l’offerta supera la possibilità di una programmazione a misura di spettatore, a maggior ragione se professionale. Con orari disumani e accavallamenti vari, solo per potersi fregiare di avere certi film (Scorsese e Indiana Jones, per restare a questi giorni), anche se pochissimi avranno occasione per vederli. Festival sempre più lusingati di se stessi.

 

 

Ultimo aggiornamento: 08:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA