Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Cannes 75, giorno 7. Cronenberg aggiorna
i corpi (e il cinema) per un futuro mutante

Martedì 24 Maggio 2022

CRIMES OF THE FUTURE di David Cronenberg (Concorso) – Dalla spiaggia un bambino rientra in casa e inizia a mangiare della plastica. La madre prende un cuscino e lo soffoca. Un artista (Viggo Mortensen), accompagnato dalla sua compagna (Léa Seydoux) organizza spettacoli sulla metamorfosi dei suoi organi. Un’investigatrice del National Organ Registry (Kristen Stewart) indaga sulla reale portata delle mutazioni. Il ritorno al body horror di David Cronenberg è una lacerante, dissacrante, sepolcrale lettura di corpi che stanno aggiornando la loro funzione, in una società (la nostra attuale, almeno nella sua “idea”) che sta scomparendo, per lasciare speranzosamente posto a una nuova umanità. Ancora una volta il regista canadese anticipa probabilmente un mondo che verrà, dove solo le metamorfosi in atto potranno salvarci. Riecheggiando in modo evidente il suo precedente “Crimes of the future” (1970, mezzo secolo fa), quanto meno nella verbosità, nella ricerca estetico-filosofica del corpo e anche nella costrizione di ambienti chiusi (lì era una clinica), Cronenberg firma un’opera performativa più a vicina a “eXistenZ” e “Il pasto nudo” che a “La mosca”, “Il demone sotto la pelle”, “Scanners” o “Videodrome” (non ci sono insomma scene terrorizzanti), che cede un po’ nella seconda parte alla suggestione della parola, senza tuttavia venire meno al senso di decifrazione angosciante di una nuova era, dove il nuovo credo è “La chirurgia è il nuovo sesso”, perché sotto la pelle si celano i presupposti di un cambiamento radicale, che nuovi bisturi sapranno scovare. Come Lynch, Cronenberg è uno dei pochissimi autori capaci di agire oltre ogni schema narrativo e spettacolare, spalancando la visione di un abisso, che rechi ogni cicatrice sul nostro corpo e su quello del cinema, un’autopsia continua che spieghi come si muore e come si torna a vivere dentro e fuori lo schermo, tra orecchie sparse sul corpo o pezzi di embrioni estratti. Non è un film facile, più importante che “bello”, né per tutti, solo per chi insegue un’idea di cinema che inghiotta tutto, lo stesso mondo che lo nutre. Voto: 7,5.

DECISION TO LEAVE di Park Chan-wook (Concorso) – Un detective s’imbatte in un caso apparentemente di suicidio, ma conosciuta la moglie del defunto, oltre a innamorarsene immediatamente, ha la sensazione che possa trattarsi di omicidio, specialmente quando i morti diventano due. Un neo-noir dalla trama intricata, che s’avventura tra legami inattesi e pericolosi, investigazione e erotismo, nel quale Park Chan-wook mostra il lato malinconico affettivo, confusamente mischiato al senso del dovere.  Alcune scelte di regia sono mirabili, come il finale sulla spiaggia. Il senso di smarrimento del protagonista è condiviso con lo spiazzamento continuo nelle inquadrature e negli slittamenti temporali. Alla fine resta il fascino di una storia, che come tutte le storie migliori magari non si comprendono del tutto, ma si capisce di non poterle non amare. Voto: 7.

JERRY LEE LEWIS: TROUBLE IN MIND di Ethan Coen (Fuori Concorso) – Una settantina di minuti con uno degli idoli del rock’n’roll, che agita le sue lunghe dita sulla tastiera come farebbe un percussionista. Una rilettura, piuttosto basica e anche un po’ ripetitiva, di una stagione febbrile della creatività musicale, prima della grande e irripetibile ondata degli anni ’60 e, in parte, ’70, attraverso le canzoni e le performance del Killer, come viene soprannominato Jerry Lee Lewis. Ma il film è un po’ riduttivo: si limita a stralci di concerti e interviste dell’epoca, dove del musicista affiorano anche scandali e gesta della sua vita, a cominciare dai suoi 7 matrimoni (alcuni in età precoce, altri con seconde cugine), dalle droghe e disgrazie varie. Voto: 5,5.

 

Ultimo aggiornamento: 18:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA