Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Berlinale 72/2 Continua l'eclissi di Argento
Taviani single spiazzante con Pirandello

Giovedì 17 Febbraio 2022

L'Italia dei grandi autori alla Berlinale, con risultati contradditori e incerti. Al film di Paolo Taviani è andato il premio Fipresci.

OCCHIALI NERI di Dario Argento (Special Gala) –  C’è una giovane donna al volante, che presto sapremo chiamarsi Diana, che gira per le strade di Roma e si ferma in un prato dove altre persone stanno alzando gli occhi al cielo: nella capitale va in scena un’eclissi solare totale, il buio si impadronisce della città. Diana guarda in alto senza protezione e buon per lei questo le provoca solo fastidio alla retina. Ma la cecità è solo rimandata: quello che non può il temporaneo buio solare, riuscirà a ottenerlo un incidente stradale. Nel frattempo una giovane escort si accomiata in hotel dal suo maturo cliente, ma appena uscita dalla hall viene assalita da uno sconosciuto che le taglia prepotentemente la gola. A Roma si aggira da tempo un serial killer che uccide le prostitute. Diana diventa presto un suo bersaglio. Assieme a Chin (sic), bambino cinese illeso della coppia morta nello stesso incidente stradale, cercherà di sfuggire al maniaco assassino, aiutata da un’istruttrice per non vedenti, due maldestri poliziotti e un cane. A dieci anni da “Dracula 3D”, Dario Argento torna alla regia frantumando quel poco che resta ormai di ogni credibilità narrativa, di per sé poco essenziale in un thriller/horror e spesso, da sempre, nel suo cinema. E se dal suo sguardo talvolta affiora la lucidità dei giorni migliori, come accade nel finale nella campagna, dove anche la natura diventa un pericolo, l’operazione non si discosta dal fallimentare percorso intrapreso dal grande, insostituibile regista, che almeno fino a “La sindrome di Stendhal” era in grado di lasciare il segno, abbandonandosi poi a un delirio creativo capace solo di disintegrare la sua meritata fama. Qualcuno troverà “Occhiali neri” in ascesa di soddisfazione, dopo cose tipo “Giallo” e appunto “Dracula 3D”, ma ancora una volta la sensazione è che tutto continui a essere approssimativo, casuale, quando non scopertamente ridicolo (non solo nella scena del biglietto da visita a un personaggio cieco, ma in diverse circostanze, compresa la puzza del maniaco), senza l’idea che tutto questo sia deliberatamente cercato, in un’architettura demolitrice che sappia conservare raramente solo l’effetto visivo appagante. E anche volendo ignorare tutto di un film che ignora tutto, aggrappandosi all’istinto di una messa in scena griffata, alla voracità di uno sguardo che sfiora l’abisso di ogni verosimiglianza (e questo non sarebbe un male), il risultato è una intermittente galleria situazionistica di fervori e lampi, che vivono da sé e per sé, in un “profondo nero” che resta tale. Orfani dell’Argento superlativo che tutti abbiamo amato, c’è chi ha voluto vedere in questa operazione il senso (o la speranza) del ritrovamento di un autore fondamentale del nostro cinema, ma nel cinema di Dario Argento l’eclissi è ancora in atto. Voto: 4,5.

LEONORA ADDIO di Paolo Taviani (Concorso) – Due anni dopo aver vinto il Nobel, Luigi Pirandello muore. Ci vorrà molto tempo prima che le ceneri trovino il posto desiderato dallo scrittore, con un viaggio per niente agevole, nell’Italia del dopoguerra. Per la prima volta senza Vittorio (scomparso 3 anni fa e al quale il film è ovviamente dedicato), Paolo Taviani squaderna il suo primo film da single, in un continuo depistaggio di codici estetici, omaggiando un Paese e un cinema italiano (anche il proprio), che si vorrebbe declinare come film “libero”, ma che appare più il desiderio incontrollato di un racconto rapsodico, che passa dal minimalismo surreale al romanzo popolare, dalla ricostruzione d’epoca attraverso materiali d’archivio alla rottura narrativa con una seconda parte totalmente sganciata e non solo per l’uso del colore rispetto al bianco e nero, dove si ritrova una novella di Pirandello (“Il chiodo” già in predicato al tempo di “Kaos”, che però non dà il titolo al film). Ne esce un’opera arditamente spezzata in due (che per un autore di 90 anni non è poca cosa), dal titolo completamente avulso (che ritrova echi verdiani), dove la morte aleggia costantemente. Un film spiazzante non privo di fascino, ma in cerca di un centro di gravità che gli sembra mancare totalmente: vorrebbe probabilmente essere un pregio, ma alla fine diventa il suo punto debole. Voto: 6.

 

 

Ultimo aggiornamento: 26-02-2022 09:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA