Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Anne e Dovlatov contro le società del tempo
L'aborto clandestino vale il Leone d'oro

Venerdì 5 Novembre 2021

Proprio nei giorni in cui è scottante il dibattito parlamentare sul ddl Zan, con lo strascico della bocciatura al Senato, che ha scosso la politica italiana e amareggiato molti italiani, esce al cinema un film che si inoltra nei terreni di un tema ulteriormente divisivo e profondamente minato da posizioni ideologiche: l’aborto. Che anche in Italia è regolamentato da una legge, non priva di ciclici attacchi per metterla in discussione. Ma nel film non parliamo dei giorni nostri, bensì di qualcosa che accadeva negli anni ’60, prima ancora della grande rivoluzione culturale di fine decennio, anche se, come sempre, parlando del passato si va inevitabilmente a compiere una parallela indagine sul presente. “La scelta di Anne”, chiamato così in Italia, dopo altri tentativi di titolazione, e che si accompagna al titolo originale “L’événement”, non foss’altro per essere identificato immediatamente come l’ultimo Leone d’oro alla Mostra di Venezia, ci porta in Francia a inizio anni ‘60, quando abortire era un reato che portava alla prigione. La studentessa Anne scopre di essere incinta, decidendo di non voler tenere il figlio che dovrebbe arrivare. Inizia così un calvario tra dottori che respingono la richiesta, tentativi personali di disfarsi del feto e il ricorso a un’esperta in modo clandestino. La parigina Audrey Diwan segue il dramma, narrato tra paure, vergogne e incomprensioni, disegnando una figura spaesata in un percorso in cui tutti la lasciano sola. Anne è una ragazza che conosce così l’ipocrisia della società e soprattutto l’abbandono di alcune amiche, che non comprendono il suo comportamento, prima e dopo la scoperta di un figlio in arrivo. Girato a ridosso della protagonista (l’eccellente Anamaria Vartolomei), in un formato che ne imprigiona ancora di più il corpo già sofferente, porta il dolore sullo schermo in modo straziante, con un paio di scene insostenibili, specie quando la giovane si libera del feto. Il Leone d’oro è un premio arrivato un po’ a sorpresa (come a Cannes ha vinto una donna, francese, su temi ritenuti da molti ancora “disturbanti”), ma non per questo immeritato. Voto: 7.

LENINGRADO, ANNI 70 - Pochi giorni a inizio novembre 1971 nella vita dello scrittore Sergei Dovlatov, oggi famoso (a sua insaputa: morirà prima del successo, dopo l’espatrio negli States), ma al tempo fortemente osteggiato dalle autorità dell’Unione Sovietica di Breznev, durante la quale i suoi scritti venivano continuamente rifiutati, anche nella sua attività di giornalista. Un biopic che mescola rabbia e rassegnazione, coraggio e sconforto nella vita degli intellettuali anti regime (tra gli altri Brodsky e Kuznetsov), dove German rinuncia spesso al suo lato più visionario (qui più sporadico), per concentrarsi con lunghi piani sequenza molto fluidi sui corpi e le parole di un’umanità umiliata nel proprio ingegno. La desaturata fotografia mostra un Paese incolore e triste e una Leningrado (oggi di nuovo San Pietroburgo) nebbiosa e ostile. Forse troppo scritto per appassionare sul serio, ma con elementi e momenti di indubbio fascino e forza. Alla Berlinale ormai quasi 4 anni fa. Voto: 7.

A SOHO IL TEMPO RADDOPPIA  - “Ultima notte a Soho” è una specie di musical-horror nella swinging London, rivista attraverso l’incubo di una giovane di campagna arrivata ai giorni nostri a Londra per sfondare nel campo della moda. Tra fantasmi e personalità specchianti (la ragazza rivive le gesta di un’altra giovane arrivata negli anni ’60 nella capitale inglese), Edgar Wright sfodera il suo risaputo armamentario del “genere”, qui forse in modo ancora più bulimico, costruendo un ritratto sociale malsano, dove solo la vendetta saprà rendere un minimo di giustizia. Canzoni anni ’60 fanno da entusiasmante tappeto sonoro, mentre il film diverte, nel suo essere volutamente caciarone. Voto: 6.

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