Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Amarsi un po': Licorice Pizza è un gioiello
Ma Reflection ci porta nell'odio del Donbass

Giovedì 17 Marzo 2022

Gary è un quindicenne ancora con i brufoli quando conosce Alana, che ha una decina d’anni in più. Potrebbe essere la sua sorella maggiore, non fosse che Gary ha la sensazione di amarla già. Ci vuole un attimo per capirlo, così come non ce ne vogliono di più per intuire dove e in quale decennio ci troviamo. Non serve sapere altro, se non che ci troviamo di fronte a un film che accende la vita nel suo dispiegarsi di gesti, pensieri, illusioni. Da quando conosciamo Paul Thomas Anderson, uno dei più abili narratori del cinema contemporaneo, uno di quei registi che rendono concreta quella sospensione eterna dei personaggi in vana ricerca di un mondo ideale, sappiamo che dovremo attraversare tutto il film affinché ciò che ci sembra essere vita possa compiersi, magari anche solo per un istante. D’altronde: che cosa possiamo fare di utile se non incontrare qualcuno? Che cosa possiamo fare di necessario se non crearsi delle aspettative, un domani, un qualcuno/qualcosa che ci permetta anche di sognare? Al cinema basterebbe questo per vivere. E Paul Thomas Anderson lo sa bene. “Licorice pizza” esce finalmente anche in Italia, dopo rimbalzi continui e con molto ritardo rispetto ad altri Paesi. È il nono film di questo talentuoso regista, che forse è un po’ troppo idolatrato dai suoi fan al pari di essere probabilmente uno dei grandi autori distrattamente evocati dal grande pubblico, perché il suo è un cinema mai banalmente racchiuso in storie di apparente complessità, ma è sempre pronto a scappare negli angoli dell’imprevedibile, sia nella coralità altmaniana degli incroci personali, sia nell’eccentricità di rapporti dall’esclusività rischiosa, come la sua carriera ricorda (“Magnolia”, “Il petroliere”, “The master”, “Il filo nascosto” eccetera). Sì certo: “Licorice pizza” è una commedia romantica, un racconto di formazione. La catalogazione forse lo richiede, ma al tempo stesso il film divaga, perché forse non è né l’una, né l’altra. Si serve degli elementi emozionali per segnare i passaggi fondamentali (come nel finale a doppia corsa, che molti troveranno scontato e invece è solo di abbagliante coerenza, pensando soprattutto alla strepitosa sequenza della corsa all’incontrario del camion), ma non sacrifica lo sguardo a serpeggiamenti nostalgici, anche se siamo negli anni ’70, nella sua San Fernando Valley, la crisi petrolifera, la musica scoppia dentro lo schermo e i “licorice pizza” erano negozi di dischi (ma il film non lo dice mai); men che meno se si contano i riferimenti cinematografici (William Holden, Sam Peckinpah eccetera). È solo una storia di due ragazzi (lui è Cooper Hoffman, figlio del grande Philip Seymour; lei Alana Haim: va da sè bravissimi), che Anderson sa rendere universale in modo straordinario, vibrante cinema di esistenze instabili, distese su quei materassi ad acqua, per i quali ci scappa a un certo punto anche qualche sorriso. Voto: 9.

REFLECTION - Senza questi tragici giorni della guerra in Ucraina difficilmente questo film sarebbe uscito sugli schermi italiani. Diventata di drammatica attualità, ecco allora questa feroce, spietata e, al tempo stesso, splendidamente geometrica rappresentazione minimalista della guerra del Donbass, tra russi e ucraini, che Valentyn Vasyanovych ha girato dopo "Atlantis" (entrambi passati alla Mostra di Venezia) con piani sequenza (a camera fissa, o in movimento) disegnando in modo orizzontale e circolare, una potente elegia funerea del corpo (sia esso sottoposto a crudeli torture, sia colpito da accidentali cadute da cavallo, sia assalito da cani e molto altro ancora), inteso come gabbia dell’anima. “Reflection” è un’opera ostica e violenta, a tratti insopportabile per l’esibizione di torture insistite, tra installazioni e narrazioni ansiogene (l’incidente sul mezzo blindato, il trapano che affonda su una gamba, la doccia ai prigionieri, la cremazione dei corpi), prediligendo a una lettura politica, un umanesimo disperato, come si evince anche dall’ultima bellissima sequenza. E dentro la metafora del riflesso, contro cui va a sbattere distrattamente un piccione, c’è la consapevolezza che l’umanità sia ancora incapace di comprendere come l’amore per le cose e per la vita sia tutt’altro che percepito. E che la guerra sia sempre a un passo, come purtroppo ci stiamo rendendo conto oggi. Voto: 7,5.

 

Ultimo aggiornamento: 18-03-2022 10:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA