MONDO OVALE di

La sfida degli All Blacks: diventare la squadra migliore di tutti i tempi

Venerdì 27 Giugno 2014
Sono i migliori di tutti i tempi? E una domanda che ricorre spesso a proposito degli All Blacks. Una risposta per la squadra allenata da Steve Hansen l’avremo, almeno sul piano statistico, il 16 agosto, giornata inaugurale del Championship dell’emisfero australe (il Four Nations) quando la Nuova Zelanda si recherà a Sydney per affrontare l’Australia e cercare di stabilire il record di vittorie consecutive nei test-match. Per ora con 17 successi ha eguagliato i leggendari neozelandesi di Fred Allen che tra il 1965 e il 1969 gettarono le basi del continuity game, e il Sudafrica di Nick Mallett del 1997-98. Ma al di là dei primati e della poco ortodossa comparazione tra epoche tanto diverse (si pensi solo che la squadra di Allen giocò 17 partite in quattro anni, quella di Mallett in meno di due stagioni) questi All Blacks hanno qualità davvero uniche. E più ancora delle 17 vittorie consecutive è significativa l’unica sconfitta subìta negli ultimi 38 test match. SEQUENZE BREVI. Credo che sotto la gestione di Hansen la Nuova Zelanda abbia ulteriormente perfezionato il mix di potenza fisica, finezza tecnica e creatività raggiunto con Graham Henry e che, soprattutto dal punto di vista del rugby totale, abbia aumentato la disponibilità offensiva dei primi cinque uomini del pacchetto di mischia. Ho notato anche un’interessante evoluzione tattica nella capacità di alternare con facilità i registri di gioco. Se nel secondo test contro l’Inghilterra era emersa l’abilità nella conservazione e nell’alimentazione di un moto offensivo perpetuo, con lunghe sequenze, nella partita di sabato scorso ad Hamilton i Kiwi per tutto il primo tempo hanno giocato un rugby fulmineo, esatto e abbagliante realizzando quattro mete con azioni da una a tre fasi. Nel finale hanno invece conservato la palla più a lungo, come nella terza marcatura di Savea (che ala fenomenale questo ventitreenne, 23 mete in 22 test-match) durata circa tre minuti col tempo regolamentare già scaduto e l’incontenibile voglia di continuare ad attaccare. Una differenza di approccio dettata dall’adattamento al tipo di difesa dell’Inghilterra. Che nel primo tempo ha accusato un vistoso problema di ridistribuzione dei suoi avanti e ha opposto una linea molto stretta al centro che lasciava spazi esterni. Logico che i neozelandesi li andassero a cercare rapidamente. Meno scontato che in capo a una o due fasi riuscissero a mettere addirittura due giocatori in soprannumero all’esterno. LANCI DI GIOCO DA TOUCHE. Tutti gli attacchi neozelandesi del primo tempo sono stati costruiti a partire dalla touche, con una buona dose di alternanza di opzioni: palloni deviati rapidamente sul mediano di mischia, attacchi sul lato chiuso o penetrazioni del maul. L’uso dei palloni portati nei raggurppamenti è stato significativo per gli All Blacks, orientato non alla ricerca diretta della meta ma a fissare gli avanti avversari e a preparare una solida piattaforma di lancio dell’attacco. Una soluzione interessante e in vista del Championship e, soprattutto, della Coppa del mondo. CONQUISTA DEL CENTRO. L’altra cosa che ha colpito sabato è stata la maniera di gestire la manovra offensiva in zona 2. Conquistare il centro della linea di difesa, spezzarla in due per colpirla poi sul lato più debole,  è da 50 anni un dogma del rugby neozelandese. Ma se tradizionalmente avveniva attraverso il gioco a terra, uno smash in percussione e una ruck a liberazione veloce, sabato lo squilibrio nella difesa è stato ottenuto molto col gioco in piedi. Ad esempio con l’impiego di un primo attaccante nella zona del 10 anziché dell’apertura, spesso un terza linea, come nella seconda meta realizzata in prima fase con McCaw all’apertura. Il capitano ha giostrato con perfetto timing sull’inserimento a vuoto di Nonu, che ha fatto da esca per i difensori centrali inglesi, mentre dalle retrovie, dove si era infrattato alla testa di una ipotetica seconda linea d’attacco, si presentava swingante l’apertura Cruden, perfettamente a proprio agio nell’attaccare la linea, infilare gli spazi e servire un lungo passaggio all’ala. ABILITÀ DA CESTISTI. Passaggi arditi, diretti e, va detto, non sempre precisi. E ciò è comprensibile quando si agisce con la massima rapidità per mantenere un tempo di vantaggio sulla difesa. Nella prima meta di Savea, ad esempio, il pallone gli è caduto vicino ai piedi. Ma anche qui colpisce la destrezza e l’abilità dei neozelandesi di bonificare l’azione, controllare il rimbalzo e recuperare comunque la palla come fossero giocatori di basket, con la differenza che giocano sull’erba e con un pallone ovale. PROSPETTIVA INGLESE. L’Inghilterra dell’ultimo test è stata difensivamente disastrosa nella prima parte. Ma nel complesso del tour, a un anno dal mondiale, ha mostrato una solidità, un sistema di gioco e, soprattutto, una prospettiva interessanti. Il secondo test lo ha perso di un punto. E questo dice molto, tenuto conto che la Coppa del mondo la giocheranno in casa. Lancaster si muove con coerenza e pazienza, sta testando giocatori giovani e ha trovato in Yarde un’ala esplosiva. (Toni Liviero) Ultimo aggiornamento: 00:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA