MONDO OVALE di

In crisi di leadership e senza successi: l'Italrugby è caduta in depressione

Giovedì 19 Giugno 2014
Se perdiamo con Figi e Samoa quali sono allora le partite che l’Italia può sperare di vincere nell’emisfero australe? Forse col Giappone, ma non è scontato. Eppure da 15 anni giochiamo nel Sei Nazioni e ci confrontiamo con i più forti al mondo. Quando passavamo le stagioni aspettando la Romania e la Spagna (e l’arrivo dei Pumas era un evento), non avremmo mai pensato a una situazione del genere. Nel senso che si addebitavano le lacune della nazionale al fatto che non potevamo giocare stabilmente contro i più forti. E ora che lo facciamo eccoci al quattordicesimo posto del ranking mondiale dietro Tonga e con la Giorgia che ci incalza. L’Italia ha troppi gap da colmare. Strutturali, di praticanti effettivi (specie nella fascia 16-17 anni, quella sensibile), di un sistema formativo che fa fatica a tirare fuori  talenti in numero sufficiente a una sana competizione per la maglia azzurra. Ad esempio il pacchetto di mischia ha bisogno di essere svecchiato abbastanza in fretta. Mentre fra i trequarti si sono affacciati in squadra in questa stagione ragazzi come Campagnaro, Sarto ed Esposito che hanno seguito Iannone, Venditti e  Benvenuti. FRANCHIGIE PERDENTI. Il  problema per questa generazione è  però il completamento della formazione, l’affinamento, la definitiva maturazione.  Cosa hanno vinto i nostri giovani? Contro chi? Hanno trascorso la stagione all’ultimo posto  del Pro12 e dei gironi di Heineken. Questo è il fatto. Aggiungiamo che vengono da esperienze nei settori giovanili in cui se hanno battuto la Scozia è già una fortuna. Per carità, le vittorie non sono mai, da sole, un indicatore di qualità del lavoro nel vivaio. Ma se uno perde sempre e magari ha un bagaglio tecnico non impeccabile, come si può pretendere che di punto in bianco vada a vincere nell’emisfero australe? Quando avremo una squadra in grado di conquistare il Pro12 e la Heineken Cup allora potremo fare altri discorsi. Pensiamoci seriamente. Perché in Italia  si parla tanto di fare esperienza. Ma quale esperienza? Un’esperienza per essere vincente deve essere solida, fatta in una squadra competitiva ad alto livello tutte le settimane. Non è che uno fa lo stagista, accumula esperienza e sconfitte a Parma e a Treviso, poi lo chiamano in Nazionale ed eccolo vincere di colpo il Sei Nazioni. Scordiamocelo. Galles e Irlanda hanno vinto molto nello Swansea, nel Munster e nel Leinster. Per questo va data alta priorità ai settori giovanili, alle franchigie e al campionato di Eccellenza. I progressi della Nazionale verranno da sè, come naturale conseguenza. PROBLEMA DI LEADERSHIP. Intanto siamo senza mediano di apertura. Ma questo lo si sa da anni. Tommaso Allan come quasi tutti i giovani che si affacciano alla Nazionale è stato prematuramente osannato, poi altrettanto frettolosamente messo in discussione.  In questo tour nel Sud Pacifico e in Giappone abbiamo scoperto anche di essere senza leadership. Lasciati a casa a riposare Sergio Parisse (dopo il Sei Nazioni discusso come capitano dal ct e dal presidente della Fir) e Martin Castrogiovanni, la squadra, senza nulla togliere all’ottimo Geldenhuys (gran giocatore e gran persona) fatica a trovare leader alternativi. E non è che sul sudafricano, così come su Bortolami o Mauro Bergamasco, per motivo anagrafici, si possa investire. Ad Apia è crollata persino la mischia, nostro abituale punto di forza. Brunel è sembrato propendere per l’incidente di percorso e  ha elogiato invece la difesa  (Garcia-Masi centri) che non ha incassato nemmeno una meta.  Le mete però le avevamo buscate prima con le Figi con le quali avevamo invece dominato in  mischia. E’ evidente che la coperta azzurra è sempre corta e piena di buchi. FACCE TRISTI. Con queste lacune è impensabile vincere nell’emisfero australe anche contro Figi e Samoa, se non c’è almeno una leadership forte, un mentale di ferro, una certa abilità tattica e di organizzazione collettiva, una buona dose di pragmatismo. Inoltre a questa squadra sembrano mancare fiducia e entusiasmo. Un po’ di voglia. Di leggerezza. L’ambiente mi sembra intristito. Sofferente. Si vedono musi lunghi. Certo se si vincesse sarebbe diverso, che discorsi. Ma noi siamo  una squadra che vince di rado e dunque, siccome non si può giocare a rugby senza entusiasmo e voglia, senza divertirsi almeno un po’, bisogna trovare dei rimedi. Purtroppo Jacques Brunel è spesso cupo e imbronciato, non è un gran comunicatore. E non ha nello staff tecnico personalità adatte a sopperire. In una squadra di alto livello non dovrebbe essere necessario questa qualità. Un allenatore è un professionista che lavora con professionisti. Punto. Ma chi allena l’Italia deve sapere che qui è diverso. È necessario anche ascoltare molto, dialogare, fare un po’ l’animatore del gruppo. La competenza tecnica e tattica di Brunel non è in discussione e sarebbe una grave errore esonerarlo. Ma una soluzione nell’ambiente azzurro va trovata per guarire la squadra dalla depressione che la affligge e ridarle in fretta un’anima e una carica di entusiasmo. (Toni Liviero) Ultimo aggiornamento: 01:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA