MODI E MODA di
Luciana Boccardi
Un libro edito da Marsilio per la Coco
Chanel italiana, Rosa Genoni
Venerdì 9 Agosto 2019
di Luciana Boccardi
Imbrigliato dal secondo dopoguerra ad oggi in una sovrapposizione che la consegnava alla storia soprattutto come “ femminista di esemplare impegno sociale e politico”, il nome di Rosa Genoni - sempre caro alla nipote-biografa Raffaella Podreider - senza le manifestazioni allestite a Milano dalla studiosa del costume, Elisabetta Invernici (nel 2015 a Palazzo Castiglioni, nel 2017 a Palazzo Morando per culminare con la grande mostra all’Archivio di Stato in occasione del 150° anniversario della nascita ) non sarebbe mai divenuto, fatta eccezione per gli studiosi di costume, una delle glorie italiane della moda tra Ottocento e Novecento. Perché la Genoni, esaltata per le idee progressiste cavalcate coraggiosamente nel suo vissuto del Novecento, è stata soprattutto un genio sartoriale che autorizza per lei la definizione non impropria di “Coco Chanel italiana” .
Nata poverissima a Tirano ( un paesino della Valtellina) nel 1867, Rosa Genoni (scomparsa ottantasettenne nel 1954 ) era partita quasi bambina dal paese dove lasciava la sua numerosissima famiglia (18 tra fratelli e sorelle), per entrare come apprendista (“piscinina”) in una delle grandi sartorie di Milano, dove la moda che si produceva su richiesta delle clienti era quella francese. Di moda italiana allora non si parlava proprio, anche se la recente invenzione del regno d’Italia aveva acceso in molti cuori la scintilla di una italianità da conquistarsi in tutti i campi, quindi anche nella moda. Rosa invece, che per intelligenza e abilità raggiunge presto vette di potere come première contesa dai grandi ateliers, snobba ogni francesismo e si orienta verso una creatività che parli solo italiano. Suoi ispiratori i grandi della nostra arte, da Botticelli a Michelangelo, Giotto, Mantegna, Leonardo. “Non abbiamo bisogno dei Francesi” sostiene Rosa nei suoi anni più accesi cavalcando un nazionalismo creativo- sentimentale non facile da imporre al pubblico che agognava ancora la moda parigina. Una scelta ideologica “nazionalista” che portò la sarta allora più famosa d’Italia, contesa da dame di Corte, nobildonne, attrici come Eleonora Duse, Lyda Borelli , vicino al pensiero futurista rendendola in questo modo allineata a un giovane rampante, Benito Mussolini . Con la stima del Duce e l’appoggio di un compagno ( l’avvocato Podreder, importante professionista milanese che la sostenne e che Rosa seguì non solo come compagno di vita ma di pensiero e di credo politico) la Genoni intraprese viaggi importanti spostandosi di continuo tra Francia, Germania e Inghilterra per documentarsi e migliorare , sempre aperta alle idee più emancipate, sostenitrice di valori femminili , soprattutto di una libertà che “le donne devono conquistare anche con l’abbigliamento”. Una dimensione civile avviata in primis comunque da Paul Poiret , il sarto francese che voleva la “donna a corpo libero, liberata dalle stecche”.
Il credo libertario coraggioso portò la Genoni ad assumere importanti incarichi anche nel mondo dell’insegnamento innovativo della moda. Ma i conti avrebbe dovuto farli presto con il Fascismo che , se da un parte restava ancorato all’italianità da imporre anche all’abbigliamento , dall’altra accettava male che una donna ne diventasse la bandiera. Inevitabile che, anche a seguito della promulgazione delle leggi razziali, i rapporti con il Regime dopo gli anni Trenta si guastassero suggerendo a Rosa - già in età pensionabile - di ritirarsi fuori Milano . Alla fine della guerra i partiti e i movimenti politici , favorevoli - a loro dire - a incoraggiare una vera emancipazione femminile , trovarono in lei un gonfalone da sventolare e la Genoni , per i decenni che seguirono, venne raccontata e considerata preferibilmente più come donna di impegno politico e sociale , come “femminista”, che come sarta.
“Rosa Genoni - Moda e Politica: una prospettiva femminista tra ‘800 e ‘900” è il titolo di un libro di Manuela Soldi uscito ora (editore Marsilio) : studio importante, guida del costume preziosa per la moda di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento. Brava Soldi, anche se per le ragioni accennate non concordo pienamente sul titolo: c’è differenza tra la politica emancipata, aperta , democratica e libertaria della Genoni, e la titolazione “femminista” del libro che meriterebbe altra interpretazione per una Genoni alla quale un femminismo vero e non di comodo potrebbe rimproverare ad esempio di non aver voluto schierarsi per la concessione del voto alle donne. Il libro di Manuela Soldi , che nell’’interpretazione editoriale Marsilio rivela la zampata sempre alta di Rossella Martignoni, è l’elaborazione della tesi di laurea per il corso di Moda e Design di IUAV , e si chiude non a caso con una postfazione di Maria Luisa Frisa .
Discutibile invece la “ micro- situazione- espositiva” allestita a Ca Pesaro per l’occasione: spazio defilato, una stanzetta a piano terra, pochissimi abiti, pochi accessori, immagini di figurini che a Milano erano stati proposti in versione originale e qui in fotocopia: ma forse è una pagina di appunti per una mostra che ci aspettiamo di vedere allestita con la qualità di sempre negli spazi prestigiosi del Museo di Ca’ Pesaro recentemente aperti anche alla moda. Ultimo aggiornamento: 10:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA