“Anche una scarpa può diventare arte”, mi proponeva così il libro “Similitudini” Giuseppe Gastel il fotografo più blasonato d’Italia, in occasione dell’uscita di quel volume “amato e sofferto” perché era una comunicazione che sentiva di dovere al suo pubblico, quella che presentava di fatto, accostate, in posizioni volutamente riconoscibili , opere di provenienza contrastante, una manufatto dell’artigianato più nobile e l’altra raccolta dal nostro quotidiano più banale, un oggetto oppure un animale. Così una scarpina decolletèe decorata con perline nella fantasia del fotografo si affiancava a un uccello del Paradiso, ripreso vivo su un ramo d’albero. Uno scarponcino serioso, stringato, pesante poteva simulare vicinanza con uno sperone di roccia. “Un gioco fotografico” , mi disse Gastel, soffermandosi sul piacere che l’arte della fotografia può concedere prima di tutti al fotografo stesso. Alto, dinoccolato, elegante, pallido nel senso più totale del termine, cagionevole di salute, anche per l’impegno dissoluto che non ha mai saputo contenere, a cominciare dal fumo che gli aveva obnubilato i polmoni. Forse questa una delle cause che gli hanno impedito di fronteggiare con ogni forza residua l’attacco del Covid che lo ha inginocchiato il 5 marzo scorso, inchiodato su un lettino nell’Ospedale improvvisato in Fiera, a Milano, la sua città amatissima. Schivo, la voce bassa (per risparmio di energie e per un piccolo snobismo inevitabile), Gastel viveva in un suo mondo felice, rispettato e qualche volta invidiato anche per la posizione sociale che lo accompagnava.
Nobile per discendenza materna (la madre, Ida Visconti aveva nelle vene il ducato dei Visconti di Modrone), lo zio Luchino Visconti era stato per il cinema internazionale un faro destinato a portare una luce forte e a volte spietata nella società del nostro tempo; rampollo di Casa Erba e del ducato dei grandi Signori di Milano, i Visconti, Giovanni Gastel non faceva esibizione della sua posizione certamente favorevole come propellente che agli inizi lo aiutò a farsi conoscere. Ma quando lo conoscevi era un mondo di riflessione, di invenzione, un ‘isola artistica che temeva il rumore inutile, che non conosceva la voglia di arrivare ad ogni costo tipica di chi si considera già arrivato comunque in cima alla pienezza che solo l’arte sa concedere. Il suo modo di fotografare era diventato una scuola di raffinata imcisività, un invito per chi iniziava ad apprendere l’arte della fotografia a non rinunciare al massimo che si chiede a uno scatto pensato, studiato, falsamente casuale. Nato nel 1955 aveva cominciato i primi passi da fotografo amatoriale, mostrando qualche foto ad amici o a persone interessate, attratte comunque da qualcosa di inspiegabile, un’atmosfera che Gastel sapeva evidenziare senza enfasi ma con il potere della suggestione vera. Lo hanno definito il fotografo bifronte perché la sua indagine sugli oggetti, sulle situazioni, sulle cose coincideva con una incessante indagine su se stesso. E’ negli anni Settanta che Giovanni, uscito anche da una esperienza teatrale divisa con la sorella, decide di incontrare la macchina fotografica che non lascerà più, sapendo che nell’obbiettivo amico avrebbe sempre trovato qualcosa di quello che per tutta la vita avrebbe cercato: il massimo, il meglio, l’inedito, il bello. L’incontro con la bellezza, la moda, le modelle da fotografare per le più grandi testate , gli hanno offerto il modo di spaziare alla grande nell’universo che non conosce confini . Artista a tutto tondo, viene ricordato da allievi e personaggi dell’arte fotografica come un maestro.
“Per me resta una pagina di altissima scuola il rispetto con cui Gastel ha interpretato la figura - afferma Roberta Orio, fotografa tra le più apprezzate uscite da quella scuola che rappresenta il pensiero legato all’alta fotografia - Ogni sua immagine trasmette la libertà intellettuale, un filo sottile che lega insieme qualcosa che lui ti manda a dire con una incisività particolare che valorizza un bianco e nero, un’ombra, una luce. Infine quello che ci lascia Giovanni Gastel è l’imprescindibilità di un’eleganza che si esprimeva non solo nei suoi modi ma che ti perveniva , e perverrà, irrinunciabile dai suoi messaggi visivi”.
Ultimo aggiornamento: 19:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA