Da qualche tempo nella moda - o, meglio , nel mondo della moda - andiamo registrando reazioni allarmanti, momenti di “pausa” creativa , di bilancio esistenziale, avvertiti come situazioni incontrollabili: il ruolo di direttore artistico di una Maison, massimo punto d’arrivo per uno stilista, non sembra più essere così ambito visto che Case di importanza internazionale registrano inattese dimissioni, rinuncia di incarichi prestigiosi, battute d’arresto, dichiarazioni di stanchezza “da ruolo”. Troppa responsabilità? Troppo carico di lavoro? Forse troppe aspettative?
E’ abbastanza recente l’addio di Raf Simons alla Maison Dior dove si era fatto apprezzare anche per aver segnato un aumento del 18% nel fatturato della Casa. E non si è trattato di un cambio per altra collocazione più vantaggiosa ma di un addio - speriamo temporaneo – alla moda. Potremmo citarne altri, ultimo in ordine di tempo Massimo Giornetti che ha lasciato il Gruppo Ferragamo per scelta sabbatica. Lasciano la griffe fondata e diretta con sapienza e amore i fratelli Capasa di Costume National, anche se la scelta conseguente alla vendita della griffe al mercato giapponese potrebbe essere solo un cambio di rotta! Comunque un addio alla griffe creata e cresciuta.
Analizzati insieme, questi abbandoni fanno pensare che nel mondo della moda sia in atto una saturazione da “consumo”, un freno alla creatività che sola consente di conservare l’entusiasmo.
Il mondo della bellezza industrializzata , la “moda”, così com’è strutturato oggi , sta registrando dichiarazioni di resa esistenziale che colpiscono i più fragili, i più esposti, gli “artisti” che reggono male i condizionamenti di bilancio, l’imposizione di una “creatività” a getto con tinuo, ma anche le stesse modelle, gli indossatori, i designers coartati da esigenze consumistiche che tagliano le gambe a qualsiasi bisogno di volare. La bellezza inseguita come punto d’arrivo ineludibile può creare un’ossessione per l’aspetto fisico che finisce per tener conto a volte solo della magrezza come traguardo irrinunciabile o per il trascorrere del tempo inesorabile che segna con l’epiteto infamante di “attempata” una ragazza di venticinque anni, incapace di accettare la fine di un momento di gloria affidato a un lavoro muto ambito da tante e tanti giovani, un servizio pubblicitario o una passeggiata di pochi minuti su una passerella prestigiosa che la moda sa prospettare come momento magico salvo defenestrarti senza pietà per un etto, un chilo o un anno in più.
E’ accaduto recentemente alla bellissima Irina Livshun, indossatrice kazaka di notorietà internazionale che, raggiunta l’età “difficile” (31 anni!) ha ritenuto il suo corpo ormai inutile , indegno di sopravvivere anche alla morte, decidendo di suicidarsi distruggendolo con il fuoco : l’hanno trovata in casa , carbonizzata. Tempo fa , Ruslana Korshunova, bellissima testimonial di Marc Jacobs e di importanti griffes, stanca del nulla acceso da luci e brillantini della moda, decideva di “cercare la vita” buttandosi dal nono piano del suo appartamento di New York.
E’ di Leopardi un famoso “Dialogo tra la moda e la morte”: il vuoto nella vita è una dimensione pesantissima che può non reggere il peso di un chilo o un anno in più, cioè a dire … la vita.
Ultimo aggiornamento: 18:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA
MODI E MODA di
Luciana Boccardi