Luciana Boccardi
MODI E MODA di
Luciana Boccardi

A Parigi un archivio supertecnologico
per l'eredità culturale di Dior

Giovedì 2 Novembre 2017 di Luciana Boccardi
Stesso quartiere,  rue Marignan n. 10, a due passi  dall’angolo più prezioso di Avenue Montaigne dove settant’anni  fa  Monsieur Dior  aprì  una boutique che doveva diventare l’atto di nascita dell’impero Dior che ancora oggi  al medesimo indirizzo ha il suo quartier generale:  tre piani tutti arredati nello stile che sta tra Luigi XV e Christian Dior, con le seggioline grigie e bianche caratterizzate da quel  medaglione sullo schienale  scelto come contrassegno di Dior oggi nel mondo.
Ci troviamo  – un gruppo selezionato di giornaliste italiane – per assistere all’inaugurazione del possente archivio Dior a Parigi dove con un piano strategico appositamente studiato su commissione di Mr. Arnault (proprietario della griffe insieme con altre importanti Maison di moda) per la conservazione  di materiali che parlano degli anni di vita di Christian Dior nella moda  in grado di garantire nel  futuro la tenuta di tessuti  e dècor in grado di restituirci esattamente ogni abito così come si presentava sul nascere.
Pochissima luce, temperatura costantemente sui  18/20 gradi, contenitori a prova di tempo realizzati sempre nel colore grigio caro a Dior)  per gli abiti con cassetti  profondissimi e per gli accessori con scatole rivestite di materiali resistenti all’umidità, all’usura del tempo  in questo caveau di preziosi che, esteso su 900 metri quadrati,  rappresenta uno degli indirizzi più importanti per la cultura della moda , sembra non scorrere ma si propone  fermo all’atto di creazione per abiti che – oggi perfettamente restaurati, rinfrescati, riportati a “nuovo”  -  vengono estratti  dai  contenitori  con le modalità di un rito religioso. Sacerdote nel contesto è  Soizic Pfaff, conservatrice dell’archivio e memoria storica del marchio che con le mani protette da guanti bianchi solleva di volta in volta uno strato di tulle, un profilo plissè, una voluta di organza o apre le scatole che conservano la scarpe, le decolletèes  in  materiali pregiati, pelle,  broccato, o di velluto come  le bellissime  pantofole  ricamate (di sapore settecentesco) che la Duchessa di Windsor, cliente assidua di Mr. Dior, gli commissionò insieme con tante mises che oggi riposano nei cassetti  misteriosi.  C’è tutta la storia dei dieci anni in cui Dior riuscì a creare, condurre,  raggiungere il  successo che ancora oggi accompagna la griffe ( e nell’insieme della sua storia stilistica emerge chiara la sua propensione a ispirazioni dal secolo dei lumi che si possono avvertire anche sulle creazioni più futuribili immaginate dal couturier  che amava Voltaire).  
Un bijou, un cappellino , borse, guanti, tele, manichini con i  volumi  di quel  dopoguerra che suggeriva  una silhouette maggiorata che facesse dimenticare  gli  sten ti e i digiuni forzati  scrivendo una vera rivoluzione  estetica  del secondo Novecento. Fu una giornalista americana di  “Harper’s Bazaar”  a coniare per quei  vestiti dalla vita stretta ma con i fianchi aperti su una femminilità  prorompente : “It’s   a new look!”; e quella definizione fece il giro del mondo  invitando le signore in cerca di leggerezza e  novità a ordinare a Dior quelle giacche bar dei tailleurs dalla gonna immensa.  I  maligni pensarono che quel  look fosse anche  una “furbata” di Dior per favorire il consumo di tessuti visto che a dargli il necessario per aprire la Masion  (60 milioni di franchi!) fu un imprenditore tessile, Marcel  Boussac, desideroso di  incrementare  il mercato di tessuti  che la fantasia di Dior certamente assecondava. Modelli  sempre più  ampi -  come le gonne a corolla -  e  con le linee (sempre ispirate da lettere dell’alfabeto), gli  abiti che si aprivano in sbiechi coraggiosi   con la linea “A”, le  linee a sacco che si raccoglievano nel fondo  nella linea “H “, le immense stole della “Y”.  “ Hony soit qui mal y pense!”
In ogni caso,  Coadiuvato da braccia felici per la moda , i giovani  Yves Saint Laurent per la parte creativa  e Pierre Cardin per la costruzione sartoriale vera e propria, Christian Dior fece volare la sua griffe  tanto che alla sua morte prematura (a 52 anni, durante la sua vacanza a Montecatini, in Italia) , il cambio di guardia appunto con Saint Laurent non rappresentò un declino ma anzi contribuì a rinforzare  il brand.   Nomi prestigiosi per la moda internazionale si sono poi susseguiti in questi settant’anni – che Parigi celebra  quest’anno per Dior anche con una mostra superba allestita nel  Musèe des Arts Decoratifs, proponendo tutta la storia estetica della Dior, dal  fondatore a Saint Laurent,  Marc Bohan , seguito da Ferrè, John Galliano, Raf Simons  fino all’avvento della prima donna chiamata oggi a guidare le sorti della  grande Maison, Maria Grazia Chiuri  (fino al 2016 direttore artistico in coppia con Pier Paolo Piccioli, per Valentino).
Perché una donna? In uno spazio conviviale che ha fatto seguito alla visita agli archivi  parigini  la stilista ostenta senza forzature la sua semplicità fatta di sicurezza professionale, di umanità, di umiltà intelligente (che la porta a consultare puntigliosamente non solo gli archivi di Mr. Dior ma quelli  dei settant’anni della griffe raccolti a Blois);  alterna piacevolmente racconti di timori, di perplessità  - inevitabili quando un impegno così possente si propone a portata di decisione -  alternandoli a momenti di femminilità  “contemporanea”, non esibita né celata, ma vissuta. E lo fa parlando dei  suoi affetti, la sua famiglia, il marito, i figli, la casa. Questo voleva Bernard  Arnault  per assicurarsi la tenuta della Maison ad altezza di Dior: una donna del nostro tempo che possa vestire  non delle donne immaginarie ma donne  vere, di oggi,  senza settarismi  né esibizioni di talento:  “normale”, attenta, creativa,  dinamica: è  Maria Grazia Chiuri , è la più moderna donna “Dior”.


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