Chiara Pavan
CHIARA LETTERA di
Chiara Pavan

Celestini e Lo Cascio, la forza di Pasolini

Domenica 27 Novembre 2022 di Chiara Pavan
Ascanio Celestini in "Museo Pasolini"

 Due sguardi su Pasolini, due grandi artisti che si misurano con un autore che ha profondamente segnato l’Italia, tentando di tracciare i confini del suo pensiero, o meglio, della sua eredità: da un lato Ascanio Celestini, col suo potente “Museo Pasolini” (presentato poco tempo fa a Casarsa della Delizia, paese natio del poeta, e poi a Treviso e Schio) e dell’altro Luigi Lo Cascio che, con Marco Tullio Giordana, ha scelto di abbracciare il corpus poetico di Pasolini in “”, coproduzione dello Stabile del Veneto, al debutto al Goldoni di Venezia (17-20 novembre) e poi atteso al Verdi di Padova (14-18 dicembre).

 

I MONDI

Due approcci difficilmente accostabili, anche per la diversa “sensibilità” drammaturgica scelta per raccontare Pasolini, eppure curiosamente affini nel volersi avvicinarsi a «un maestro irraggiungibile», come dice Giordana, per restituirne la luce. Celestini, ipnotico, inesorabile e squisitamente narrativo, si muove nella Storia italiana scavando, osservando e ricordando l’esistenza di un “figlio illustre” poco amato in vita e molto celebrato dopo la morte, mettendo in discussione la nostra visione del mondo. Lo Cascio e il regista de “La meglio gioventù”, coraggiosi nella scelta di affidarsi unicamente alla poesia per costruire una sorta di diario, o meglio, “un’autobiografia in versi” di Pasolini, regalano un personale e intimo omaggio all’artista fatto di voci, pensieri, suoni, rimandi, abbandonandosi a un flusso di coscienza quasi sospeso che accompagna lo spettatore nelle pieghe più nascoste del suo animo.

L’ITALIA

Celestini, attraverso la figura di Pasolini, racconta un’Italia che non vorremmo vedere ma che ci riguarda ancora da vicino: da Casarsa fino a Roma, da Ponte Mammolo a Donna Olimpia, dall’infanzia all’età adulta, la storia del poeta si intreccia a quella del Paese, dal fascismo di ieri e di oggi, dalla lotta partigiana all’anticomunismo come spettro omogeneo di controllo del potere, dalla democrazia repubblicana all’eversione, fino ai torbidi patti tra politica ed economia. Un monologo che si trasforma in un atto d’accusa verso un’Italia burina e fascista, sempre molto brava a celebrare i vinti e ad annullare nel ricordo i personaggi secondari della storia. Lo Cascio e Giordana optano invece per una dimensione rarefatta e simbolica, quasi atemporale, un vagare tra i pensieri del poeta, individuandone sofferenze, paure, lutti (la morte del fratello), fragilità e incertezze, quasi a voler delineare un Pasolini più intimo, lontano dall’icona del ‘900 e dalle sue idee diventate quasi profezia. Ecco allora l’appassionato Lo Cascio che si muove attraverso i prati natii fino a una Roma disperata rivestita di rifiuti urbani, arrivando alla morte del poeta (sul palco “pende” la sagoma della macchina che lo ha ucciso), in un assolo che resta però soltanto parola, in un teatro “contemplativo” che fatica ad emozionare: se Pasolini parlava all’essere umano nudo, fuori dal tempo, di fronte alle sue contraddizioni, la pièce di Giordana sembra parlare solo a se stessa, vittima, forse, delle sue ambizioni.

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