Pescara, camoscio Maiella a congresso mondiale salute fauna selvatica: contributo ricercatori del Parco e dell'Università di Teramo

Domenica 5 Settembre 2021
Pescara, camoscio Maiella a congresso mondiale salute fauna selvatica: contributo ricercatori del Parco e dell'Università di Teramo

Il camoscio Maiella chiamato a rapporto. Il camoscio appenninico, animale unico e particolarmente legato alla storia del territorio del Parco Nazionale della Maiella, oggi veste i panni di un investigatore d'eccezione e inconsapevole che indaga il livello di salute del territorio del Parco. Vive in ambienti particolari e in alcuni casi condivide spazi con animali domestici al pascolo. Questo particolare aspetto lo rende un perfetto indicatore delle differenze rilevabili in ambiente, in presenza o assenza di attività legate all'uomo. Infatti, per la prima volta in Italia è stato oggetto di studio da parte del Wildlife Research Center del Parco e dell'Università degli Studi di Teramo per valutarne la capacità di descrivere lo stato di salute del territorio in cui vive. A partire da campioni di feci sono stati isolati batteri resistenti ad antibiotici considerati critici per la salute umana.

Sono per lo più antibiotici che non vengono utilizzati in ambito veterinario e sono definiti tali appunto perché la loro efficacia nel curare le infezioni deve essere preservata considerando che sono fra le poche molecole ancora efficaci nello sconfiggere batteri resistenti che non sono più trattabili con i comuni antibiotici.

Trent'anni di camoscio appenninico sulla Maiella. Lama dei Peligni festeggia il grande lavoro di conservazione

Questi risultati riguardano in particolare i batteri Enterococchi resistenti alla molecola antibiotica Linezolid e i batteri escherichia coli resistenti alla colistina e ai carbapenemi. In particolare, è stato possibile correlare queste resistenze alla presenza di alcuni geni e nel caso dell'Escherichia coli è stato possibile riportare per la prima volta la presenza del gene oxa 48 nel camoscio e la presenza del gene mcr-4 per la prima volta nella fauna selvatica. Questi risultati riguardano in particolar modo i camosci che vivono condividendo gli ambienti con le attività antropiche, suggerendo una contaminazione di origine umana. Infatti, camosci che vivono in aree ben più isolate non presentano gli stessi profili di resistenza. Questi risultati accendono i riflettori sulla responsabilità dell'uomo nell'utilizzo corretto degli antibiotici e invitano ad una rinnovata consapevolezza su quanto le nostre azioni possano avere conseguenze sull'ambiente e sulla comunità.

Tutte le considerazioni del caso sono state presentate alla 69esima conferenza internazionale della Wildlife Disease Association che è in corso in questi giorni a Cuenca (Spagna), ma in forma di Virtual Conference a causa delle problematiche COVID-19. Alla conferenza sono intervenute le Università, i Parchi, gli Istituti di Sanità e Monitoraggio della fauna che da tutti i continenti studiano e lavorano quotidianamente per monitorare la salute della fauna selvatica e dell'uomo in virtù dell'ormai consolidato approccio «One Health» concetto per il quale si riconosce che la salute degli esseri umani è legata alla salute degli animali e dell'ambiente. 

Ultimo aggiornamento: 6 Settembre, 10:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci