La nuova era del vino: il cambiamento climatico lascia il segno e rivoluziona il modo di produrlo

Sabato 21 Dicembre 2019
La nuova era del vino: il cambiamento climatico lascia il segno e rivoluziona il modo di produrlo
Cambia il clima e cambiano molte cose. Nell'agricoltura più che mai. Sostenibilità e gestione efficiente dell'acqua saranno le parole chiave nel 2020 per il vino. Il cambiamento climatico, con l'alternarsi di fenomeni meteo estremi, lascia il segno anche in vigna, con calendari delle vendemmie sempre più ballerini, e da Nord a Sud i viticoltori italiani, così come i vignerons nello Champagne, mettono in campo un ventaglio di strategie salva-uva. A Montefalco, nel cuore verde dell'Umbria, Alberto Pardi, titolare dell'azienda Cantina Fratelli Pardi, ha deciso di iniziare questo percorso dalla valutazione dell'impronta idrica (Water Footprint): si tratta di un indicatore del volume totale di risorse idriche utilizzate per produrre un determinato bene, comprendente l' intera catena di produzione. L'idea è quella di creare, coadiuvato da un ente di ricerca o una facoltà universitaria, un processo produttivo di gestione efficiente delle risorse idriche, sia nelle lavorazioni di cantina che nei trattamenti in vigna.

In Alto Adige e in Trentino, racconta da Termeno (Bolzano) Martin Foradori, patron delle tenute Hofstatter, «cresce l'interesse per i vini di altitudine, piace la freschezza e una vigna a 400 metri sul livello del mare non può dare le stesse sensazioni al palato di una a 800 metri di altitudine. Anche il palato dei consumatori tedeschi si sta spostando verso vini secchi, meno zuccherini, ma non si può forzare la natura. Non è vero - afferma - che il cambiamento climatico può spingere la viticoltura oltre quota 800. Il rischio è che, col primo caldo di primavera, si anticipi la fioritura per poi avere gelate. Inoltre si stanno moltiplicando gli insetti infestanti». Mentre in Valpolicella si ha ancora memoria dell'87 quando la temperatura media europea aumentò di 1 grado (il cosiddetto 'abrupt climate changè).

Per l'Amarone ha comportato un'evoluzione stilistica e, secondo Daniele Accordini, enologo di Cantina Valpolicella Negrar, la Valpolicella e i suoi principali vitigni autoctoni - Corvina, Corvinone e Rondinella - «sono riusciti ad adattarsi molto bene al nuovo clima, trasformando i vini Amarone da stili locali a espressioni territoriali di carattere internazionale». Il cambiamento climatico è una realtà anche in Champagne, dove la temperatura media è aumentata di +1,1 gradi in trent'anni. Oltralpe, come sottolinea l'Académie du Champagne, è nata la prima filiera viticola al mondo a misurare la sua impronta carbonica e ad aver dato vita a un piano per ridurre del 75% le sue emissioni entro il 2050. Bottiglie più leggere che limitano del 20% l'impatto delle emissioni di Co2, programma per selezionare varietà più resistenti agli stress climatici, 90% rifiuti riciclati e valorizzati.

E in Franciacorta Academia Berlucchi si sta configurando come «moderna agorà per una visione di un domani più sensibile e resiliente» ha sottolineato Arturo Ziliani in un recente incontro al Simei.
In Italia, conclude Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini (Uiv), questo settore, «si sta dimostrando il più sensibile, il più pronto e preparato ad affrontare un percorso così complesso. Per questo motivo Unione Italiana Vini continua a lavorare con le istituzioni per la definizione di uno standard unico nazionale sulla sostenibilità del comparto vitivinicolo».
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