Attendeva a giorni una perizia psichiatrica, anche perché più di una volta, in questi otto mesi, aveva tentato di uccidersi.
L'uomo è stato ritrovato cadavere domenica scorsa nella sua cella nel carcere di Ivrea dove era detenuto: impiccato con i pantaloni della tuta alle grate della cella che divideva con un altro ospite del carcere che, a quanto pare, stava dormendo e non si sarebbe accorto di nulla. Un suicidio su cui, comunque, la Procura della Repubblica ha aperto un fascicolo d'inchiesta, anche se il movente dell'estremo gesto è facilmente intuibile. Ed è tutto nella foto sorridente di quelle due vittime innocenti, quella di Ludovico e quella di Teodora, partita da Roccacasale una decina di anni fa per il Piemonte per lavorare come assistente sociale. Qui aveva conosciuto e poi sposato nel 2014 quello che poi si sarebbe trasformato nel suo assassino.
Un femminicidio e omicidio che ha seguito gli schemi più classici e purtroppo ripetuti e sempre attuali: l'ossessione del possesso di uomini violenti che pretendono il diritto di proprietà, di vita e di morte, sulle proprie donne. E infatti Teodora aveva deciso di lasciare suo marito, dopo aver preso coscienza e consapevolezza che la loro relazione, già turbata per un periodo di abbandono del tetto coniugale da parte di Riccio, non funzionava e non poteva funzionare. Teodora ci aveva provato a ricominciare, perché per lei, donna del sud, la famiglia era un valore importante, ma con altrettanta lucidità aveva capito che le cose non potevano andare e che il rischio era quello di rovinare la vita sua e del figlio. Un rifiuto che Riccio non ha sopportato, fino a compiere una strage, un massacro, e ricongiungere, secondo la sua logica, la famiglia nell'aldilà: «Vi porto via con me» aveva scritto su un biglietto prima di gettarsi dal balcone e dopo aver messo fine alla vita di due anime innocenti.
In Valle Peligna la notizia della morte di Riccio non ha suscitato sentimenti di pena e di pietà: troppo forte il dolore inferto a una comunità e ad una famiglia che in questi mesi si sono mobilitati per promuovere la lotta alla violenza contro le donne. Mostre, premi, corse ciclistiche, targhe ricordo e soprattutto una continua azione di sensibilizzazione che ha dato alla famiglia Casasanta la forza di andare avanti, di trovare una nuova ragione di vita in quelle morti terribili e devastanti. Nessuno potrà restituire i sorrisi di Teodora e Ludovico, ma quei sorrisi e la loro drammatica storia continuano a dare ogni giorno una ragione in più per combattere, per cercare di fermare un fenomeno che continua, purtroppo, a riempire le cronache quotidiane.
La giustizia terrena, quella, non si è compiuta: il femminicida si è ucciso prima di comparire davanti a giudici con l'accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. Dopo otto mesi ha concluso il suo folle disegno criminale.