Dodici anni fa, proprio oggi, nel bosco delle casermette a Ripe di Civitella, in provincia di Teramo, veniva ritrovato il corpo senza vita della giovane mamma di Somma Vesuviana Melania Rea, moglie dell’ex caporal maggiore dell’esercito Salvatore Parolisi, che tre giorni prima, il 18 aprile, ne aveva denunciato la scomparsa dal pianoro di Colle San Marco dove erano andati per una gita fuori porta insieme alla loro bambina che all’epoca aveva appena 18 mesi. Nonostante il tempo trascorso, nessuno ha mai dimenticato questa drammatica vicenda giudiziaria che ha portato alla condanna definitiva a 20 anni di carcere, dopo quattro processi, proprio l’uomo che aveva giurato amore eterno a Melania, Salvatore Parolisi, e che invece l’ha uccisa con 35 coltellate «in un dolo d’impeto», così com’è stato stabilito, lasciandola a terra agonizzate.
IL CARCERE
Negli ultimi anni spesso si sono rincorse notizie su Parolisi uscito dal carcere di Bollate, dov’è ancora rinchiuso, grazie a permessi premio. Notizie, però, che non hanno mai trovato riscontri, nonostante l’ex militare sia sempre stato un detenuto modello e ormai da tempo può chiedere e usufruire di quei permessi che la legge prevede. «Purtroppo quella stessa legge che prevede tanti diritti, a noi non consente di sapere nulla su di lui – commenta Michele Rea, fratello di Melania - Non credo che quando uscirà dal carcere verrà a cercare sua figlia perché se ci avesse tenuto a lei, noi adesso non staremmo neanche parlando e Melania sarebbe ancora viva». La bambina che quel pomeriggio del 2011 giocava sull’altalena del pianoro di Colle San Marco mentre il papà la spingeva, oggi è cresciuta. Ha addirittura cambiato cognome. In casa Rea, ormai quasi due anni fa, è anche arrivato un altro bimbo: è il figlio tanto atteso di Michele. «Mia nipote gli fa da sorella maggiore. Posso davvero dire che con lei stiamo tutti facendo un buon lavoro. È bravissima a scuola e ci dà tante soddisfazioni».
Pensando a Melania, però, Michele vuole ricordare anche «le tante, troppo vittime di femminicidio che ancora leggiamo – dice - Non è possibile che dopo questi fatti, però, siano le vittime e le loro famiglie a doversi sempre difendere dagli assassini». Accanto a Michele e ai suoi genitori, nella lunga battaglia legale c’è sempre stato l’avvocato Mauro Gionni, che oltre al rapporto professionale ha stretto una profonda amicizia. «Ci siamo risentiti telefonicamente proprio in questi giorni perché gli ho voluto manifestare la mia vicinanza – conferma – e ci siamo ripromessi di rivederci come facevamo prima del periodo di Covid». «La decisione di far cambiare il cognome alla bambina, che poi non è più una bambina, la reputo giusta – aggiunge - D’altronde, hanno ottenuto l’autorizzazione ed è tutto legale».
LA STORIA
Quando è stata uccisa, Melania aveva 29 anni. Suo marito, così com’è emerso immediatamente, aveva un’amante, una soldatessa, eppure avrebbe agito senza «una preordinazione del delitto, senza una deliberata e meditata scelta di liberarsi di un ostacolo», la moglie, rispetto alla relazione extraconiugale da lui intrattenuta da tempo, ha stabilito la Cassazione. L’ex caporal maggiore ha sempre sostenuto la sua innocenza. Ha pianto. Ha parlato di amore per Melania, per poi tentare di nascondere maldestramente la sua seconda vita di cui la moglie non faceva parte.