Non arretra di un millimetro.
«Siamo tutti protagonisti di un film» chiosa in una battuta il legale e spiega: «In quarant'anni di professione certe cose le percepisci, le vedi. Ho tanta esperienza anche in altri processi importanti, ho studiato naturalmente anche la giurisprudenza del magistrato. Speravo di essere una Cassandra, invece il mio pronostico si è avverato». Che non è una soddisfazione? «Certo non fa piacere vedere confermate le proprie pessimistiche previsioni». Però c'è un futuro e se adesso il termine di prescrizione più breve corre il rischio di mandare tutti un po' in affanno l'avvocato Reboa ha già in macchina il piano B: «Quando avevo detto che la tutela delle famiglie sarebbe passata attraverso i processi civili ed ho fatto per questo tutti i necessari atti interruttivi non avevo torto», sottolinea. Perché questa è la strada che avvierà adesso e che, strategicamente, avrà come obiettivo non le persone, ma gli enti: l'istituzione che aveva il compito di fare e non ha fatto.
«Quella strada doveva essere percorribile - ribadisce l'avvocato Reboa -. Tu come ente dovevi essere organizzato per assolvere questo compito. Quella strada chiusa che ha impedito alle persone di scendere stabilisce il nesso causale con la morte. Perché le persone sono state fatte salire. E alla fine l'ente ha garantito la percorribilità di un'unica strada, quella verso la morte». E' un elemento che d'altra parte, in attesa delle motivazioni della sentenza, sembra già emergere dalla decisione del giudice Sarandrea. E proprio quelle motivazione il legale, come tutti, aspetta per verificare quale sia stato il percorso logico che ha portato alle cinque condanne e alle 25 assoluzioni, anche se qualcosa è già possibile intuirla. E i suoi dubbi l'avvocato Reboa continua a manifestarli, per un'inchiesta passata per le mani di quattro diversi pubblici ministeri.
«Due che hanno istruito e due che hanno subito». «Se ci si fosse concentrati su poche figure centrali sarebbe stato difficile non accogliere le richieste», afferma il legale. «Ma io non faccio il pubblico ministero, fin da giovane ho scelto di fare altro. Ho cercato di svolgere il mio ruolo e anche di andare oltre, nei limiti in cui ci è stato consentito di superare i limiti. L'ho fatto grazie all'esperienza e alla mia faccia tosta, ma non avevo il potere di andare oltre». Quello che c'è stato di sbagliato lo ha detto: «In udienza, più volte. Ho detto - sottolinea ancora - che bisognava seguire il denaro, approfondire certe linee di finanziamento. Ho detto che andava fatta la cosa più banale quando ci si relaziona con una struttura alberghiera: controllare i cartellini delle presenze. Per questo se lei mi chiede se è stato un processo giusto le rispondo no, perché andava istruito in maniera differente».