La forza di una mamma malata di tumore: combatto per mio figlio cardiopatico

Domenica 29 Marzo 2020 di Rosalba Emiliozzi
Coronavirus, madre malata di tumore e figlio cardiopatico: dateci le mascherine

«Dovrebbero fornire a domicilio un kit di protezione a tutti i malati che da casa si devono spostare in ospedale per curarsi». Cure oncologiche come le sue, una donna di 45 anni che combatte con una recidiva del tumore, o analisi improrogabili come quelle del figlio cardiopatico, 14 anni, che vive grazie a un farmaco salvavita, ma deve tenere sotto controllo gli effetti ogni 15 giorni.
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«Dovrebbero...». Poi la mente va ai tanti medici, infermieri, Oss costretti a lavorare con mascherine a bassissima protezione, le uniche che hanno, quando le hanno. Perché, come hanno denunciato diversi sindaci abruzzesi di ogni colore politico, il personale sanitario va in guerra contro il Coronavirus senza armi, cioè senza mascherine Ffpt2 o 3 ad alta e altissima protezione o con quantitativi non sufficienti. E allora succede che in una scala, a scendere, i pazienti gravi che proseguono le cure a casa diventano ancora più vulnerabili. Per loro, costretti ad un andirivieni costante ospedale-casa casa-ospedale, una mascherina, anche fosse solo chirurgica, ma ben fatta e resistente, diventa anch’essa un salvavita, uno schermo necessario al Covid-19, per loro letale.

Roberta, nome di fantasia, vive dell’hinterland pescarese, e da sette anni combatte con un tumore che sembrava debellato, ma che è tornato a minacciarla. «Faccio parte di un protocollo sperimentale - dice - prendo una terapia per bocca e vado avanti». Deve andare avanti e deve essere sprint per suo figlio quattordicenne nato con un problema cardiaco e operato cinque volte. «Io e lui, in questo periodo, non ci dovremmo muovere senza mascherine - dice la mamma- e chi ce le aveva? Rischiando, siamo dovuti tornare a fare analisi e cure. Ora ne ho, ma devo dire grazie alla solidarietà di persone che non conosco che mi hanno inviato per posta mascherine dopo il mio appello su Facebook». E’ la generosità della rete che arriva quando la coperta è corta, troppo corta. 

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«Io parlo a nome di tutti i malati: chi come me si deve recare in ospedale ha bisogno di protezione, non può rischiare di ammalarsi anche di Coronavirus - dice - ma poi vedi che ci sono sanitari o volontari che vanno in giro con mascherine fatte con carta da forno». Roberta è infermeria, da tre anni non lavora, non può più lavorare, la malattia l’ha resa diversa, non glielo permette. «E mi dispiace, amavo la mia professione» dice. Oggi, come ieri, il suo impegno primario è suo figlio. Un ragazzino bravissimo che ha voluto a tutti i costi nonostante la diagnosi prenatale di cardiopatia congenita. «Ho scelto io di farlo nascere - racconta - altre soluzione non mi hanno minimamente sfiorato. Ho detto no all’aborto ed è stata la migliore scelta della mia vita. Ho pensato: se Dio vuole che viva, questa vita andrà avanti». E che vita ne è venuta fuori, il figlio è fonte di gioia e di scoperte continue, nonostante la malattia e grandi paure legate alle cinque operazioni chirurgiche. Roberta ha saputo crescere un ragazzino diligente, che studia con profitto a scuola e ha le idee chiare sul futuro.  Madre e figlio sono una famiglia speciale, che con forza e tenacia ha superato grandi difficoltà.

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In questi momento di sbarramento sociale, vivono chiusi in casa. «Cosa provo? Mi sento abbandonata, non ci stanno tutelando, vivo costantemente nella paura del contagio».

Si sfoga, è un attimo, Roberta torna subito combattente. «Finché apro gli occhi la mattina e vedo mio figlio, sto bene, viviamo in simbiosi, spero di vivere il più possible per stare accanto a lui». 

Ultimo aggiornamento: 2 Marzo, 20:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA