Coronavirus, in Abruzzo positivi come ad aprile: ecco la geografia del contagio

Sabato 22 Agosto 2020 di Stefano Dascoli
Coronavirus, positivi come ad aprile: ecco la geografia del contagio
Bisogna tornare indietro alla metà dello scorso mese di aprile per avere così tanti positivi da coronavirus in Abruzzo che ieri ha fatto registrare il secondo indice di contagiosità, dopo l’Umbria. Ben 23, con una proporzione inversa rispetto alla prima, drammatica, fase dell’emergenza. Ora sono le aree interne a destare le maggiori preoccupazioni: il servizio Tutela e Prevenzione della Salute della Regione ieri ne ha segnalati addirittura 13, ma altri ne arriveranno oggi. Frutto di focolai, come nel caso della Valle Peligna, che piuttosto rapidamente hanno già saturato i posti disponibili negli ospedali.

Al San Salvatore dell’Aquila, come spiega il primario del reparto di Malattie infettive, Alessandro Grimaldi, gli otto letti previsti per questa fase sono già occupati, si lavora per predisporne altri. Sebbene le evidenze cliniche lascino ben sperare su un minore impatto del virus sui pazienti, per Grimaldi è urgente pensare fin da ora ad alcune misure: una Tac dedicata, il potenziamento del laboratorio per i tamponi, strutture esterne all’ospedale per la quarantena dei positivi. Professor Grimaldi, cosa accade? Quello delle aree interne è un caso? «L'ala predisposta al San Salvatore per questa fase estiva è praticamente satura: abbiamo occupato tutti e otto i posti disponibili, ne stiamo predisponendo altri qualora dovesse esserci un ulteriore aumento».

Quale è la dinamica del contagio? «Ci sono focolai nell'Aquilano, soprattutto nell'area di Sulmona. In qualche modo questa situazione anticipa un po’ quello che potrebbe succedere in autunno». A cosa è dovuto il rialzo? «Chiaramente c'è un allentamento delle regole post lockdown, legato anche alle vacanze e all'estate, alla voglia di vita sociale. Non a caso alcuni focolai si sono generati in situazioni come feste o cose simili». A livello clinico cosa state osservando? «Non abbiamo giovanissimi ricoverati, fortunatamente, ma c'è tendenzialmente un abbassamento dell’età media. La gran parte ha polmoniti, ma con quadri sintomatologici più attenuati. Rispetto alla prima fase le diagnosi sono più precoci: questo dà un vantaggio temporale sia in termini di terapia che di gestione clinica. Le persone non arrivano più in ospedale dopo 10-15 giorni a casa con la febbre: ora arrivano subito, appena cominciano ad avere sintomi. E' importante affrontare la malattia precocemente prima che evolva nella fase infiammatoria e nella cascata citochinica che rende tutto più complesso. Casi complessi ancora non ne vediamo. Speriamo che le Rianimazioni non debbano essere nuovamente sollecitate».

Sul fronte delle cure c’è stata una evoluzione? «I farmaci sono sempre gli stessi, anzi forse l'armamentario si è un po' ridotto perché non c'è stata la conferma dell'efficacia di alcuni. Nel periodo clou dell’emergenza nel nostro reparto abbiamo avuto circa 110 ricoveri. Altro 21 pazienti sono stati curati nella Medicina Covid e 29 al G8, in Rianimazione. Qualche altro caso è finito in Pneumologia come sospetto e poi trasferito a Malattie Infettive. Da noi c'è stato un tasso di mortalità bassissimo, solo tre decessi, tra cui uno di un paziente affetto da tumore al polmone. In Rianimazione sono morti 17 pazienti su 29. Complessivamente il territorio aquilano ne è uscito abbastanza bene. E poi non abbiamo avuto molti contagi intraospedalieri». Cosa cambierà in questa fase? «Va affrontata anche con maggiore determinazione. La Regione ci deve autorizzare una Tac dedicata: stiamo aspettando, è indispensabile per evitare che si torni a una paralisi dell'ospedale. E' importante, inoltre, avere un numero adeguato di medici e infermieri. E poi il laboratorio va ulteriormente potenziato per lavorare al massimo, laddove dovesse servire. L'appello è anche quello di ripristinare rapidamente strutture esterne all'ospedale, come l'hotel Cristallo in primavera, che possano ospitare i pazienti guariti ma ancora positivi. Non li dobbiamo tenere in ospedale perché occupano posti e hanno un costo notevole». 
© RIPRODUZIONE RISERVATA