Un amico dell'Abruzzo, che lo ha più volte insignito del Premio Borsellino, ma soprattutto un fraterno amico di Giovanni Falcone, che ha affiancato nel pool antimafia di Palermo. Inevitabile chiedere a Leonardo Guarnotta come ha vissuto la liberazione di Giovanni Brusca per “fine pena”, l'ex braccio destro di Totò Riina che il 23 maggio del 1992 stringeva tra le dita il timer di Capaci.
Qual è stata la sua prima reazione a questa notizia?
«Diciamo che non ci ha colto di sorpresa.
Già, ma come si racconta ai ragazzi delle scuole un personaggio che si è autoaccusato di aver sciolto nell'acido un bambino di 11 anni?
«Nel caso di Brusca è tanto più esecrabile se si pensa che lui ha ammasso di aver tenuto sulle sue ginocchia il piccolo Giuseppe Di Matteo quando aveva l'età di 5 anni. Solo una belva può fare una cosa del genere. Ecco perché oggi la sua liberazione appare un provvedimento ingiusto. Dall'altra parte c'è l'esigenza dello Stato di tutelare gli interessi generali e i collaboratori hanno consentito di fare un salto di qualità nella lotta alla mafia e al terrorismo».
Qual è il pezzo di verità ancora da scrivere sulle stragi del '92?
«Non è stato detto tutto. Il 23 maggio sono stato come ogni anno sotto l'albero di Falcone. La mia speranza è che qualcuno depositi un giorno la verità che dobbiamo a Giovanni, Paolo e tanti altri. Occorre scoperchiare quel vaso di Pandora che passa anche anche da una certa omertà dello Stato».