Bimba morta di leucemia, «diagnosi in ritardo». Asl condannata a pagare 870 mila euro

Sabato 27 Giugno 2020 di Teodora Poeta
Bimba morta di leucemia, «diagnosi in ritardo». Asl condannata a pagare 870 mila euro

«Il ritardo diagnostico ha determinato, con elevata probabilità, la morte della piccola Maria Teresa Nallira. Sussiste, dunque, la elevata “probabilità logica” che un più tempestivo intervento avrebbe evitato l’exitus letale». E’ con una sentenza di 31 pagine in cui si ricostruisce l’intera vicenda, si scandiscono leggi e passaggi penali di una storia dolorosa, che il giudice civile Silvia Fanesi ha condannato la Asl di Teramo al risarcimento danni di 873mila euro in favore della famiglia della piccola Maria Teresa, la bambina di Collevecchio di Montorio stroncata a 6 anni da una leucemia acuta.

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Una causa civile contro l’azienda sanitaria teramana e quella di Pescara per la responsabilità professionale iniziata nel 2011 dai genitori della piccola, il papà Onorio e la mamma Antonella Coruzzi, che negli anni e nella loro lunga battaglia anche penale, sono sempre stati affiancati dall’avvocato Vincenzo Di Gialluca. Unica responsabile la Asl di Teramo. «Il trattamento terapeutico praticato presso l’ospedale di Pescara – si legge nella sentenza civile - non rappresenta una causa esclusiva o concausa del decesso. Il ctu ha rilevato, infatti, come il trattamento diagnostico e terapeutico eseguito presso il nosocomio di Pescara, in relazione alle condizioni della paziente al momento della sottoposizione alle cure, è stato correttamente effettuato secondo le linee guida nazionali ed internazionali per il trattamento delle leucemie acute in età pediatrica».

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Per ricostruire la vicenda bisogna tornare indietro alla sera del 25 febbraio del 2008. Sono le 22, quando i genitori della bambina chiamano a domicilio il pediatra perché la piccola ha febbre, dolori addominali, vomito e diarrea. Ha l’addome un po’ gonfio e le viene prescritto un antispastico. Il 27 febbraio Maria Teresa viene portata direttamente dal pediatra sempre con vomito e diarrea, il quale consiglia di effettuare esami ematochimici il giorno successivo, ma con la raccomandazione di andare al pronto soccorso se la sintomatologia fosse peggiorata. Alle 19.40 la bambina viene portata al Mazzini e visitata dal dottor Di Lollo che non ha ritenuto opportuno effettuare gli esami, «poiché il quadro non appariva suggestivo di appendicite acuta, ma di una colica addominale con lieve iperemia faringea, imputabile ad una infezione virale in corso e così la bambina torna a casa. Il 29 il pediatra visita di nuovo Maria Teresa che peggiora. Il primo marzo i genitori la portano di nuovo al pronto soccorso del Mazzini, stavolta c’è la dottoressa Ferrari che si rifiuta di effettuare l’emocromo chiesto dal pediatra poiché, a suo dire, eseguibile solo per le urgenze e, dopo un ulteriore visita, la paziente viene nuovamente dimessa con diagnosi di «vomito e diarrea». Il 2 marzo altro accesso al pronto soccorso, stavolta con ricovero su insistenza dei genitori, con alcuni accertamenti di laboratorio e solo alle 17.30 gli esami ematochimici dai quali risulta a quel punto una leucemia acuta con conseguente trasferimento a Pescara, dove purtroppo, però, Maria Teresa morirà il 6 marzo.

La pediatra Mariangela Ferrari era stata condannata in primo grado ad un anno e quattro mesi per omicidio colposo e ad un anno per falso materiale e ideologico per aver manomesso la cartella clinica della piccola, ma poi assolta in appello (sul falso i giudici di secondo grado hanno disposto il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, ndr) mentre il pediatra Franco Di Lollo era stato assolto già in primo grado con l’appello che ha riformulato la motivazione, perché il fatto non sussiste.
 

Ultimo aggiornamento: 10:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA