Lodovico Giacomuzzi un prete in prima linea

Domenica 12 Aprile 2015
Don Lodovico Giacomuzzi fu uno dei preti friulani che, nella Grande Guerra, si distinsero per abnegazione e generosità. Impegnato, dal 1916 al 1919, in ruoli diversi, svolse una intensa attività religiosa, civile e militare che gli valse ampi riconoscimenti ed encomi.
Nato nel 1884 a San Vito al Tagliamento, sacerdote nel 1908, laureato in teologia, il 16 luglio 1916 fu chiamato alle armi e assegnato, come soldato, alla 5. compagnia bis di Sanità. Ma il 19 settembre, per interessamento di qualche importante personalità, venne esonerato dal servizio in Sanità e nominato reggente militare provvisorio della pieve di San Pietro all'Isonzo, ora San Pier d'Isonzo, con l'assegno di lire duecento mensili lorde. Di fatto, con telegramma del 29 agosto, monsignor Maritano, vicario del vescovo di campo, comunicava al vicario foraneo di Cormons la nota del segretario generale per gli affari civili del comando supremo del regio esercito che disponeva la sua assegnazione alla reggenza predetta e lo invitava ad emettere il relativo decreto canonico. Nel contempo, lo stesso segretario generale assicurava il conte Antonio di Prampero di Udine, senatore del Regno, che “il sacerdote Giacomuzzi dottor Lodovico” era stato destinato “reggente provvisorio alla Parrocchia di San Pietro dell'Isonzo”. L'incarico comportava il grado di tenente, come dimostra una foto del 1917, in cui Giacomuzzi appare, con le insegne del grado, tra un gruppo di ufficiali, con il Duca d'Aosta. Il reggente sostituiva il parroco don Domenico Veliscig, allontanato e rinchiuso nella fortezza del Belvedere, a Firenze. Successe, infatti, nelle zone di confine, che fossero allontanati quei cittadini di fede asburgica ritenuti, a ragione o a torto, possibili spie.
A San Pietro all'Isonzo le truppe italiane erano entrate con la banda in testa, per la gioia dei cittadini di fervidi sentimenti italiani, ma la vita del paese era condizionata dalle esigenze più immediate delle unità che combattevano sul vicino Carso, molti edifici erano stati colpiti dai bombardamenti, ovunque dominavano distruzioni e macerie. Con l'ardore che lo distingueva, don Giacomuzzi si mise subito all'opera e, grazie all'intervento di un comando di divisione, che aveva sede nel paese, e alla collaborazione del sindaco Giuseppe Zanolla e del commissario provvisorio Luigi Mantero, ottenne la promessa di alcune ricostruzioni, a cominciare dalla pieve. Il reggente intendeva garantire alla popolazione la necessaria assistenza spirituale e civile che già svolgeva in condizioni di estrema precarietà, per la quale si avvaleva della presenza in zona di alcuni cappellani militari.
Emanuele Filiberto duca d'Aosta, comandante della Terza Armata del Carso, dispose che i lavori fossero eseguiti, compatibilmente con le esigenze militari, a cura del comando Genio d'Armata. Ultimata la ricostruzione, il 5 agosto 1917 ci fu la inaugurazione della pieve, con l'intervento del Duca d'Aosta e di numerosi ufficiali, tra cui il generale Armando Diaz, comandante del 23. corpo d'armata, destinato, tre mesi dopo, a succedere al generale Cadorna al comando dell'esercito. In quei mesi, la diuturna attività di don Giacomuzzi si estese anche alle sepolture dei militari caduti: egli si adoperò per adornare le tombe, annotare le generalità nei registri dello stato civile della pieve, comunicare ai parroci dei luoghi di provenienza la data e il luogo della morte e della sepoltura. Tanta dedizione di cristiana carità e di amor di Patria non sfuggì al Duca d'Aosta, che venne sempre incontro ad ogni sua richiesta.
Ma le sorti della guerra volgevano al peggio e dopo la rotta di Caporetto, il 26 ottobre 1917, don Giacomuzzi ricevette l'ordine di ritirarsi dietro al 13. Corpo d'armata. Per lo scrupolo che lo connotava, prima di partire raccolse oggetti e documenti di notevole interesse in due sacchi che consegnò ad una persona del paese. A metà novembre egli era ad Abano Bagni, al comando supremo, al quale consegnò denaro e titoli finanziari in suo possesso. Qui, il 3 dicembre fu nominato cappellano militare e assegnato al 5. reggimento bersaglieri che operava, a contatto col 14., sull'Altopiano di Asiago: don Giacomuzzi si trovò ad essere cappellano di due reggimenti bersaglieri. Nuovi orizzonti si aprivano al fervente uomo di Dio e della Patria, che ora poteva donare ai reparti combattenti intelligenza, cuore e ardimento. Gomito a gomito con i bersaglieri, don Giacomuzzi visse i momenti cruciali degli eventi militari del 1918, condividendo con loro i rischi delle linee avanzate: come quando, in val Posina, si recò con alcuni ufficiali fin sotto le linee nemiche per recuperare il corpo di un collega, caduto il giorno prima in un attacco di sorpresa. Di tanta generosa personalità sono testimonianza le note informative dei comandanti del 5. e del 14. reggimento bersaglieri, gli attestati della 28. e della 69. divisione, l'encomio della Prima Armata, la croce della Terza Armata, concessa motu proprio dal Duca d'Aosta, due riconoscimenti dell'ordinario militare, monsignor Bartolomasi, la cittadinanza onoraria del Comune di San Pier d'Isonzo.
Collocato, il 19 luglio 1919, in congedo illimitato, il cappellano militare tenente Lodovico Giacomuzzi tornava, ora don Lodovico, nella sua diocesi di Concordia, per riprendere l'insegnamento nel seminario vescovile: un'attività che gli era congeniale quanto quella di protagonista di tante iniziative culturali e civili. Dotato di personalità dinamica, di vasta cultura e di capacità di comunicazione, don Giacomuzzi rivestì ruoli importanti anche nel Collegio vescovile Guglielmo Marconi di Portogruaro, dove insegnò lettere e filosofia. Morì il 22 ottobre 1952, non senza aver lasciato in ogni luogo, tempo e circostanza un vivissimo ricordo della sua incommensurabile passione per una vita ricca di valori.

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