Cessione Valentino, condanna per evasione dei fratelli Marzotto Matteo: «Io contrario alla vendita»

Cessione Valentino, condanna per evasione dei fratelli Marzotto Matteo: «Io contrario alla vendita»
VICENZA - «La sentenza del Tribunale di Milano ci sorprende e fatichiamo a capire come due soci di minoranza che non hanno mai preso parte alla gestione della società...

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VICENZA - «La sentenza del Tribunale di Milano ci sorprende e fatichiamo a capire come due soci di minoranza che non hanno mai preso parte alla gestione della società possano essere considerati colpevoli di un reato eventualmente commesso dagli amministratori». Lo spiega Matteo Marzotto, in relazione alla condanna a 10 mesi a suo carico e a carico della sorella Diamante nel processo per una presunta evasione fiscale sulla vendita del marchio Valentino Fashion Group. «Abbiamo sempre confidato che la difesa nel processo avrebbe, prima o poi, evidenziato la nostra innocenza e per questo avevamo a suo tempo rifiutato ogni ipotesi di patteggiamento», aggiunge Matteo Marzotto che poi chiarisce ancora: «Siamo sempre stati convinti dell'infondatezza dell'accusa che è emersa limpidamente dall'istruttoria dibattimentale: tutte le carte e tutti i testimoni, sia dell'Accusa sia della Difesa, hanno infatti sempre confermato la nostra completa estraneità ai fatti».


Per Marzotto, «è stato dimostrato durante il processo con articoli di stampa, nazionale e internazionale, e numerose testimonianze, tra cui quella dell'allora amministratore della società lussemburghese, che il sottoscritto, all'epoca dei fatti Presidente di Valentino, è sempre stato contrario alla vendita della casa di moda, e il successivo sviluppo dell'azienda mi ha purtroppo dato ragione». «Sono stato condannato per un'operazione, la cessione di Valentino, alla quale mi ero opposto con tutte le mie forze - prosegue -, visto che il mio unico intento, acquisendo le quote di Icg, era quello di consolidare il controllo e impedire così le scalate ostili che da più parti si paventavano. Anche questa è una circostanza provata e riprovata, come emerge dalle mie dichiarazioni rilasciate in epoca non sospetta e dai documenti prodotti in giudizio». Anche per quanto concerne «mia sorella Diamante - conclude - è stata dimostrata, con documenti e testimonianze, la sua estraneità ai fatti, essendosi occupata solo della sua famiglia per tutta la vita, senza mai interessarsi alla gestione delle aziende. Si è colpevoli soltanto dopo una sentenza definitiva e questo è solo il Primo Grado, così come era accaduto in altri e noti casi che la stessa Procura ha richiamato durante il processo e per i quali la Cassazione ha infine escluso ogni addebito. Leggeremo le motivazioni e ci difenderemo in appello; è certo, però, che in questo contesto diventa difficile conciliare il fare impresa e investimenti».
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Il Gazzettino