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Piccolissimi e famelici, visti al microscopio somigliano a una miniatura stilizzata di Pac-man. Arrivano gli xenobot: né organismi né macchine ma veri e propri robot viventi progettati da un supercomputer e creati dall’uomo, possono già trasportare piccoli carichi, autoripararsi e cooperare tra loro. E riprodursi.
A realizzarli partendo da cellule di rana della specie Xenopus Laevis – da cui il nome – è stato un team di ricercatori americani, uniti in un progetto pluriennale che abbraccia la Tuft University, Harvard e l’Università del Vermont. Parte tutto in laboratorio, dove le cellule staminali prelevate dagli embrioni di rana vengono lasciate in incubazione.
FUNZIONE
I ricercatori scelgono una funzione per quelle cellule (movimento, trasporto etc.) e un algoritmo di intelligenza artificiale le rimodella in specifiche “forme corporee”, cercando tra milioni di combinazioni possibili quella più adatta allo scopo. E dando così la luce a una nuova specie vivente, figlia di biologia molecolare e robotica. Gli xenobot infatti sono sì organismi, perché composti da cellule e capaci di riprodursi, ma sono anche robot, perché possono essere programmati per fargli eseguire una specifica funzione. «La forma scelta dall’algoritmo è essa stessa il programma», dice Josh Bongard, ricercatore capo del progetto. «E la forma decide il comportamento. Molti pensano che i robot siano fatti di metallo e ceramica, ma non si tratta tanto di cosa sono composti quanto di come agiscono». I primi xenobot hanno visto la luce nel 2020: avevano una vita media di dieci giorni, potevano muoversi liberamente all’interno della piastra di osservazione e perfino spingere piccoli carichi. Una seconda ondata di microrobottini è stata svelata al mondo all’inizio di quest’anno, e gli xenobot 2.0 hanno mostrato capacità nuove, quali l’autorigenerazione e una forma primitiva di cooperazione. Oggi siamo alla terza versione e la configurazione in stile Pac-man pensata dal supercomputer Deep Green dell’università del Vermont ha raggiunto un nuovo traguardo: gli xenobot si riproducono.
MECCANISMO
Gli scienziati a capo del progetto si dicono «sorpresi», perché la replicazione cellulare non era mai stata osservata finora in natura. Funziona proprio come nel videogame icona degli anni ’80: il minuscolo Pac-man parte alla carica raccogliendo quante più cellule possibili tra quelle presenti all’interno della piastra e le deposita nella sua “bocca”, dove rimangono per cinque giorni, finché non vede la luce un “baby xenobot” identico in tutto e per tutto all’originale. Anche lui lascerà la sua postazione in cerca di cellule, in un processo potenzialmente infinito. Il risultato di questa ricerca è stato pubblicato sulla rivista dell’Accademia Americana delle Scienze, e il focus è chiaro: «Se potessimo ridisegnare i sistemi organici per aggiungere nuove funzioni», si legge nel documento, «la loro capacità innata di resistere all’entropia potrebbe consentirgli di superare il ciclo vitale delle nostre tecnologie più avanzate».
OBIETTIVI
Il meglio di entrambi i mondi insomma, ma c’è un obiettivo di respiro più ampio: i ricercatori sperano infatti che un giorno gli xenobot saranno in grado di svolgere compiti finora impensabili, come eliminare composti nocivi o intrappolare microplastiche dannose nell’oceano. Osservandone le dinamiche, sarà possibile anche studiare la replicazione dei virus, un tema oggi attualissimo.
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