Stefano Borgonovo, la moglie Chantal: «Morto perché ha fatto il calciatore. Vialli e Mihajlovic? Nessuno ne parla»

L'ex calciatore ucciso dalla Sla. «Sono convinta che se Stefano non avesse fatto il calciatore non si sarebbe ammalato o magari questo sarebbe successo in età avanzata»

Stefano Borgonovo, la moglie Chantal: «Morto perché ha fatto il calciatore. Vialli e Mihajlovic? Nessuno ne parla»
«Sono convinta che se Stefano non avesse fatto il calciatore non si sarebbe ammalato o magari questo sarebbe successo in età avanzata. Invece è morto giovane...

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«Sono convinta che se Stefano non avesse fatto il calciatore non si sarebbe ammalato o magari questo sarebbe successo in età avanzata. Invece è morto giovane perché ha giocato a calcio». Lo ha detto Chantal, la moglie di Stefano Borgonovo, morto per la Sla (sclerosi laterale amiotriofica) il 27 giugno 2013. «Vialli e Mihajlovic? Tutto riporta alla mente quei drammatici ricordi. Mi metto dalla parte delle mogli anche se non le conosco. Il nostro percorso è simile - ha spiegato in un'intervista al Giorno -, i nostri mariti facevano lo stesso lavoro. E questo mi induce a fare delle riflessioni, anche sulla mia storia. La Sla in particolare ha colpito negli anni troppi calciatori, in età giovanile o da adulti. Lo dicono le statistiche e le ricerche, pure le più recenti. Se Stefano avesse fatto un altro tipo di vita non si sarebbe ammalato, purtroppo il perché e il per come non lo sa nessuno», spiega Chantal.

 

 

Chantal, la moglie di Stefano Borgonovo: «Dà fastidio parlare di questo tema»

«Sono anni che attendo delle risposte. Ai tempi in cui Stefano giocava tutto ciò che riguardava la gestione sanitaria era affidata al medico sociale di cui Stefano aveva fiducia. Io so che mio marito non ha mai preso volontariamente farmaci strani, assumeva qualcosa solo sotto il controllo dello staff sanitario se prescritto». Dopo la morte di Mihajlovic e Vialli, sono diversi i calciatori che hanno espresso le loro paure parlando della loro carriera e di quei percorsi simili nello sport di cui però non esistono legami scientificamente riconosciuti ancora. «Una cosa è sicura - dice Chantal -, erano della stessa generazione di Stefano o di quella successiva, quindi si conoscevano avendo fatto lo stesso lavoro. Quello è un ambiente molto ristretto. Certamente hanno riaperto una questione che però vedo si è richiusa altrettanto rapidamente. Di sicuro vedo che dà fastidio parlarne, non so se dipenda più da interessi economici o da altro. Ma è giusto ricordare che tutte le indagini su queste malattie sono state fatte da ricercatori non del mondo del calcio. Dovrebbe essere un dovere sociale capire e rassicurare, invece non interessa».

 

 

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Il Gazzettino