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Non è umano. Aveva ragione Bublik. Jannik Sinner batte per la seconda volta in due settimane Roberto Bautista Agut, un top player di fatto, e conquista la prima finale di un 1000 nella sua carriera. A 19 anni. Dopo aver visto le pene di un inferno tremendo per due ore e mezzo, dopo aver commesso 53 errori di cui 31 di dritto. Dopo aver dovuto affrontare una pressione psicologica, di cui tra poco diremo, assai pesante e che avrebbe schiacciato ogni altro giovane non dotato della favolosa testa di Jannik. Dopo aver dovuto rimontare una situazione di svantaggio in ogni set. Dopo aver giocato un ultimo game da non credere: sentendo la palla in quei quattro punti come mai aveva fatto nelle due e mezza precedenti chiudendo 5-7 6-4 6-4.
Difficile non entusiasmarsi.
Nei primi due set il match è stato quanto di più mentale si possa immaginare. Bautista aveva un solo imperativo categorico: quello di far pesare sulle spalle del giovane avversario la sua età e la sua esperienza. Vuoi battermi di nuovo ragazzino? Allora mangia questa minestra, renditi conto in ogni singolo quindici che non puoi far valere l’esuberanza della tua gioventù. Perché nel braccio di ferro vinco io. Anzi, perdi tu. Il messaggio è stato questo per tutto il match. Non è un caso che sul secondo set point lo spagnolo, quasi vittima di una crisi di coscienza, abbia giocato una palla corta complicatissima rinunciando al suo ruolo di padre padrone: e che l’abbia fallita.
Ma nel tennis ci sono meccanismi che si consolidano con l’età e allora ecco che all’inizio del terzo il vecchio Bautista ha pensato bene di ispirarsi all’Atahualpa di Paolo Conte: ha guardato il giovane e gli ha detto: “descansate nino, che continuo io”. E ha infilato un parziale di 12 punti a zero.
Questioni di mente, di cervello, di ormoni, di età. Specie quando il ragazzo deve ancora affinare molte di quelle armi che gli consentiranno di diventare un giocatore completo. Ma il ragazzo non è umano o forse è diversamente umano. E deve essere stato tremendo per Bautista scoprire sulla sua pelle che il Nino non si era descansato per nulla. E che sarebbe toccato invece a lui farsi da parte per lasciare spazio alla storia vivente che il tennis italiano (e forse non solo) aspettava da più di quarant’anni.
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Il Gazzettino