PARMA - L'articolo con il quale l'opinionista del "Times" Stuart Barnes chiede la cacciata dell'Italia dal Sei Nazioni di rugby per "manifesta...
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Fra i tanti ad esprimersi c'è stato Massimo Giovanelli. Il capitano "Braveheart" della Nazionale che negli anni Novanta ha conquistato per l'Italia il diritto di entrare nel Sei Nazioni, abbinando le prestazioni sul campo all'azione politica dei presidenti Maurizio Mondelli prima e Giancarlo Dondi poi. Riteniamo sia interessante riportare integralmente il suo commento postato su Facebook. Giovanelli è spesso critico con la gestione della Federazione italiana rugby (Fir), ma non per questo la sua voce va taciuta. Dall'alto del trascorso storico-rugbistico merita sempre di essere ascoltata. Può aiutare a capire i motivi di una situazione divenuta imbarazzante in fatto di risultati: 25 sconfitte consecutive e 5 anni senza vittorie nel torneo.
IL COMMENTO DI MASSIMO GIOVANELLI
Dall'ennesima reazione isterica dei paladini da tastiera al consueto articolo della stampa inglese, critico verso la nostra immutata imbarazzante presenza al Torneo, si capisce una volta di più perché quel livello a cui dovremmo appartenere resta irraggiungibile; trite e ritrite analisi da pub che vertono sul pubblico, sulla bellezza di Roma , sugli interessi economici etc etc.
Sforzi intellettuali notevoli, per spiegarci la novità dell'acqua calda, cioè che tanto non c'è nessuno meglio del peggio che siamo.
Non un passaggio che verta sul disastro tecnico tattico della nostra Nazionale, su una Direzione Tecnica che viaggia su un binario parallelo al rugby del mondo, formando giocatori con bagagli personali, motivazionali e di comprensione del gioco incompleti e molto al di sotto del loro competitors.
Sessanta punti a zero in due partite nel "mezzo Torneo" del 2019, con mete subite IN PRIMA FASE ed ancora ci arrampichiamo sugli specchi, senza un minimo di orgoglio o di autocritica sul fallimento dell'Italrugby sui campi del Six Nations.
Ancora dobbiamo sentire un presidente federale come Gavazzi che parla di miglioramento della nostra performance, termine di cui probabilmente non conosce neanche il significato?
Dov'è quel costante dissenso che dovrebbe investire una Fir in eterna involuzione tecnico gestionale, condotta da figure senza competenze di rugby internazionale, che non conoscono passione ed amor proprio, se non quelli dell'interesse personale?
Rimaniamo pure nel nostro orticello autoreferenziale, in cui ce la raccontiamo felici e spensierati, ed aspettiamo inermi le decisioni o gli eventi che presto o tardi ci coinvolgeranno, perché in fondo da italiani medi che i rugbysti non dovrebbero essere, "noi speriamo che ce la caviamo".
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Il Gazzettino