L'Italia del rugby non ha votato Pichot, ma la sua "regola" la renderà più forte

Augustin Pichot, all'epoca in cui era vice presidente di World Rugby
VENEZIA - Nelle elezioni per il rinnovo del presidente di World Rugby, la federazione mondiale, l’Italia ha dato i suoi tre voti all’inglese Bill Beaumont,...

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VENEZIA - Nelle elezioni per il rinnovo del presidente di World Rugby, la federazione mondiale, l’Italia ha dato i suoi tre voti all’inglese Bill Beaumont, vincitore per 28 a 23 sull’argentino Agustin Pichot. Una scelta coerente con quella degli altri Paesi del Sei Nazioni. Basata sulla difesa degli interessi e del potere economico-sportivo dell’emisfero Nord, in particolare del prestigioso torneo e dei campionati di club principali (Top 14 francese, Premiership inglese), rispetto all’emisfero Sud, le cui federazioni principali si sono schierate tutte con l’ex mediano di mischia dei Pumas.


IRONIA DELLA SORTE
Ironia della sorte, però, il primo benefici per l’Italia nel nuovo quadriennio di attività gestita da World Rugby, quando l’emergenza Covid-19 ne consentirà la ripresa, verrà da una scelta perorata da Pichot nel precedente mandato. Quando era il vice di Beaumont e il paladino del riequilibrio fra i Paesi di primo livello (Tier 1), nonché della crescita dei Paesi di Tier 2. Si tratta di una modifica della regola sull’eleggibilità di un giocatore straniero per un’altra nazionale. Dal 1° gennaio 2021 serviranno cinque anni di residenza continuativa nel Paese, non più tre come ora.
La regola favorirà l’Argentina, tra le cui fila non militano giocatori di altre nazionalità. Questo era probabilmente il primo obiettivo di Pichot. Indebolirà un po’ l’Italia, pioniera nell’uso degli stranieri di ogni tipo: gli oriundi o equiparati argentini, sudafricani, australiani, francesi, inglesi, neozelandesi, figiani, dai tempi di Rudy Ambrosio, Tito Lupini e della Coppa del mondo nel 1987, hanno fatto la fortuna degli azzurri. Costituendo di fatto il “vivaio” più fiorente dell’Italrugby, insieme a quello del Veneto.

Ma la nuova “regola Pichot” indebolirà ancora di più i due Paesi contro i quali oggi l’Italia si gioca le (scarse) possibilità di vittoria nei test internazionali: la Scozia e il Giappone. Questo ovviamente in linea teorica, perché poi bisognerà vedere come i singoli Paesi si riorganizzeranno nel reclutamento e usciranno dai guai dell’emergenza Covid-19.

LA STATISTICA
Il dato emerge da una statistica  divulgata dallo stesso Pichot su Twitter. È riferita alle rose delle squadre nei test autunnali del 2018 e indica il trend esistente da anni. La Scozia (46,3% di stranieri, quasi uno su due in nazionale) e il Giappone (37,1% di stranieri, più di uno su tre) sono davanti a tutti nella percentuali di utilizzo di giocatori nati all’estero. Superano abbondantemente anche l’Australia (29,7%) e Italia (29,4%, meno di uno straniero su tre), che si piazza in quarta posizione. Seguono Inghilterra (27,7%), Irlanda (26,1), Galles (24,3%,), Francia12,9%, NuovaZelanda (12,5). All’ultimo posto Argentina e Sudafrica (0%), con tutti giocatori formati nei loro vivai.

La statistica riguarda le dieci squadre di livello Tier 1 per World Rugby (quelle di Sei e Quattro Nazioni). Più il Giappone che lo diventerà presto grazie alla qualificazione ai quarti nell’ultimo Mondiale (mai centrata invece dall’Italia in nove edizione) e ai due voti dati a Beaumont per fargli vincere le ultime elezioni. Voti decisivi, insieme a quello di Samoa o delle Figi. Fossero andati a Pichot avrebbe vinto lui 26-25 le elezioni per la presidenza e sarebbe partita la “rivoluzione mondiale”.

TRISTE EREDITÀ

Invece il rugby dovrà accontentarsi di una riforma, senza le promozioni-retrocessioni nel Sei Nazioni. Ma dove si arriverà comunque al calendario globale e alla Nations Cup. Con un piccolo riequilibrio dei poteri (e dei soldi) a beneficio dell’emisfero Sud e delle nazioni minori. Intanto dal 2021 la “regola Pichot” inizierà a dare i benefici all’Italia. Abbinati, si spera, a quelli della nuova gestione del ct Franco Smith. Chissà se basteranno a fermare la serie nera delle 25 sconfitte e 5 anni senza vittorie nel Sei Nazioni. Triste eredità lasciata dalla “FederAscione”, la Fir guidata dalla coppia Gavazzi (presidente) e Ascione (direttore tecnico).
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Il Gazzettino