Mino Raiola, Beppe Marotta: «Modi spicci e franchezza, uno di valore. Un erede? No, era unico»

Il direttore sportivo dell'Inter: «Era abilissimo. Si faceva valere. Rappresentava i suoi assistiti nel modo migliore, si batteva per loro, strappava i contratti alle sue condizioni, spesso»

Mino Raiola, Beppe Marotta: «Modi spicci e franchezza, uno di valore. Un erede? No, era unico»
Beppe Marotta, ad dell’Inter, una lunga relazione di lavoro con Mino Raiola: da quanto lo conosceva? «Da almeno...

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Beppe Marotta, ad dell’Inter, una lunga relazione di lavoro con Mino Raiola: da quanto lo conosceva?

«Da almeno trent’anni. Sono dispiaciutissimo, addolorato, affranto. Mino aveva competenza, bravura, tenacia nelle trattative. Aveva iniziato giovanissimo, ho avuto i primi contatti con lui quando era diventato collaboratore di Gino Pozzo all’Udinese: Mino lavorava sui giocatori olandesi, ma poi estese ben presto il suo raggio d’azione. Io a quei tempi ero dirigente al Monza, al Como, al Venezia, e cominciai ad avere a che fare con lui. Un grosso professionista, che infatti ha avuto un enorme successo».

 

 

E’ vero che Raiola ha cambiato il calcio con i suoi metodi, ha cambiato i rapporti di forza tra calciatori e club?

«Era abilissimo. Si faceva valere. Rappresentava i suoi assistiti nel modo migliore, si batteva per loro, strappava i contratti alle sue condizioni, spesso. Modi spicci, grande franchezza nell’esprimersi, una persona di valore. Era polemico e incisivo a livello mediatico, come lo era nel privato delle trattative, sempre uguale a se stesso. Poi è stato anche molto critico col sistema, e faceva bene la sua parte anche in quello. Come sempre rappresentava al meglio i suoi giocatori, e le loro ragioni. Poi in un sistema ci sono anche le altre controparti, come i club, le federazioni».

 

 

Insieme a lui avete messo a segno una delle plusvalenze più incredibili di sempre, per Paul Pogba.

«Ero alla Juventus. Lo prendemmo dal Manchester United a costo zero, lì non aveva trovato spazio con Alex Ferguson; Mino era il suo manager, credeva un sacco nel giocatore, ci garantì che era un campione ancora incompreso, e lo portò alla Juventus. Quattro anni dopo il Manchester United aveva una proprietà diversa, mentalità diversa e persone diverse, e ce lo comprò per 115 milioni. Sono colpi che capitano, anche se non con quelle proporzioni. Ci sono spesso dei giovani che non trovano spazio e fanno fortuna in un’altra nazione da cui partono per una grande carriera: mi viene in mente il caso di Scamacca, che andò via dalla Roma per giocare in Olanda”.

 

C’è un erede di Raiola?

«Non credo. Era unico».

 

 

E’ stato anche un personaggio controverso, no?

«Spesso ha spinto al massimo, i suoi giocatori cambiavano spesso squadra. E se da un lato, sul piano economico, gli spostamenti hanno sempre garantito guadagni maggiori ai suoi atleti, magari in alcuni casi non sono state operazioni felicissime sul piano tecnico, e qualcuno non si è trovato bene. Ma fa parte del gioco».

 

Pensiamo a Donnarumma, ad esempio?

«Può essere, perché no. Magari, a vedere le cose adesso, se Donnarumma fosse rimasto al Milan sarebbe stato meglio per lui. Ma giudicare alla fine è facile».

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Il Gazzettino