Balich, il veneziano direttore del grande show in Qatar: «Volevamo valorizzare il dialogo tra il mondo arabo e l'Occidente»

Marco Balich e Anghela Alò
VENEZIA - La voce è un po' stanca. Al telefono si percepisce ancora la tensione di una prima davanti agli occhi del mondo. E solo adesso, a cerimonia conclusa,...

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VENEZIA - La voce è un po' stanca. Al telefono si percepisce ancora la tensione di una prima davanti agli occhi del mondo. E solo adesso, a cerimonia conclusa, c'è il tempo di un sospiro di sollievo. Marco Balich, veneziano purosangue, ci è abituato. Soprattutto a mettersi in gioco. Ma l'esperienza la fa da padrona. Nel carniere, il prode veneziano ha già inanellato una serie di cerimonie di tutto rilievo: da una carrellata di eventi olimpici (Salt Lake 2002; Torino 2006; Sochi 2014; Rio 2016) passando per le iniziative dell'Expo 2015 a Milano, i Giochi Panamericani di Lima, in Perù (2019) e ora Qatar 2022. Ma non è finita, in prospettiva ci sono pure i Giochi olimpici Milano-Cortina 2026. Chi vivrà, vedrà.

Balich, cerimonia conclusa. Un intero pianeta sintonizzato sullo stadio Al Bayt, nel cuore del Qatar.
«Sì. E ne sono contento. È andato tutto molto bene. Non è stato facile coordinate 900 persone. È stato un lavoro affascinante iniziato un anno fa. È stata una cerimonia in stile olimpico, se posso permettermi, condotto attraverso lo staff della mia società, la Balich Wonder Studio. Abbiamo voluto dare senso ad un messaggio universale. Ed era la prima in occasione di un Mondiale di calcio».

Di certo non era facile, la realtà qatariota non è delle più semplici.
«Ed è proprio lì che abbiamo insistito: nel valorizzare gli aspetti positivi; nel valorizzare il dialogo tra il mondo arabo e l'Occidente. Tutto compatibilmente con una giusta politica. Abbiamo l'esperienza di chi ha lavorato a grandi eventi in altri posti difficili come Arabia Saudita, Turkmenistan, Perù. È altrettanto evidente che ciò che interessa a chi organizza questi eventi è soprattutto suscitare l'orgoglio nazionale».

A Doha, i simboli sono stati l'attore Morgan Freeman e un youtuber locale, Ghanim Al Muftah, affetto da una grave disabilità.
«Il messaggio che abbiamo voluto dare è stato quella della tolleranza, dell'amicizia, nonostante le differenze, tra i popoli. E soprattutto enfatizzare un messaggio di diversità e di pace».

Ma c'è un segreto attorno a questa cerimonia?
«Una donna. L'organizzazione generale era tutta a carico di Anghela Alò, originaria di Ancona, che è stata la regista di tutta la manifestazione».

Beh non deve essere stato facile.
«Certo, ma è stato un lavoro importante. E di questo dobbiamo tenerne conto».
Insomma, nonostante gli Azzurri non ci siano, la pattuglia italiana ha fatto la sua parte...
«Direi proprio di sì. C'era l'arbitro Orsato in campo; ho visto Alex Del Piero che è qui come commentatore. Ci siamo noi. C'erano gli sbandieratori di Faenza che hanno alzato al cielo i vessilli delle nazioni in gara».

Quale è stata la maggiore soddisfazione?


«Vedere Gianni Infantino, il numero uno della Fifa che si è complimentato con il sottoscritto per lo spettacolo. Un lavoro che si completato in queste ore con un evento sulla Corniche con giochi d'acqua e anche l'installazione di un'icona in una piazza cittadina che si chiama l'«Albero della vita».

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Il Gazzettino