Cinque, sedici e ventidue maggio 2010. Tre date scolpite nella storia dell’Inter e dei suoi tifosi e, da allora, sinonimo della più grande impresa mai realizzata da...
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Domani, in viale Liberazione, sarà il giorno della memoria nerazzurra, con un decennale e una tripletta epocale da celebrare («qualcosa faremo sicuramente», la promessa di Javier Zanetti, ora vicepresidente) nel miglior dei modi. Dal presidente e mecenate di quell’Inter da leggenda (in Europa solo altre 6 squadre come i nerazzurri di Mou: Celtic, Ajax, Psv Eindhoven, Manchester Utd, Barcellona, 2 volte, e Bayern) è già arrivato un presente per tutti gli eroi del Triplete: un portachiavi d’oro con le miniature dei 3 trofei portati a casa e subito condiviso su Instagram («Parlando di Triplete ho scelto di farvi vedere il regalo del nostro presidente Moratti») da Wesley Sneijder. Il folletto olandese fu l’ultimo ad arrivare nell’estate del 2009, ma anche il simbolo del grande cambiamento voluto da Mou dopo l’addio a Ibra e collimato con acquisti top in ogni reparto, a cominciare da Lucio in difesa («Ci serviva un difensore veloce - ricorda il vate di Setubal-, in grado di alzare la linea di 20 metri»), Thiago Motta in mediana, Samuel Eto’o e Diego Milito in attacco. E, ovviamente, Sneijder sulla trequarti. «Avevamo una squadra difensivamente fenomenale e ci serviva maggiore precisione nei passaggi. C’erano giocatori fantastici come Zanetti, Stankovic, Cambiasso… Ma serviva più controllo e più dominio- puntualizza ancora lo Special One- e abbiamo deciso di prendere Sneijder. La chiave di volta per noi».
E la miccia giusta per innescare due velocisti del calibro di Milito e Eto’o. Nonché uomo partita, e decisivo con un gol all’89’, nel 2-1 corsaro, e obbligato, del 4 novembre 2009 a Kiev, pena un addio anticipato alla Champions. «Ma quella era prima di tutto una squadra di uomini veri - ha sottolineato Zanetti -, poi di grandi campioni». Guidata da un condottiero d’eccezione: Josè Mourinho, «uno per cui ti saresti buttato nel fuoco» la chiosa di Pupi. E «per noi il Triplete era un sogno - il commento di Milito - e questo ci ha dato la forza di realizzarlo. Mou ci ripeteva che dovevamo sognare, ma senza trasformare il sogno in ossessione». Così sono arrivate Coppa Italia, scudetto e Champions, tutte in rapida successione e nel mese di maggio. Il 5 in finale di Coppa con la Roma per 1-0, con un mio destro in corsa ad incrociare sul secondo palo», ricorda El Principe e il 16 il tricolore, con Milito sugli scudi anche a Siena, a risolvere «una sofferenza lunga un anno con la Roma». Poi il 22 l’apoteosi con il 2-0 di Madrid contro il Bayern, anticipato dal celebre discorso pre-gara di Eto’o («Una finale non si gioca, si vince…») e griffato, naturalmente, Milito. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino