Covid, Galli: «Riaprire gli stadi è sbagliato, sarebbe il bis delle discoteche»

«Mi pare sacrosanto: dobbiamo aprire le scuole, non gli stadi. Capisco che togliere i “circenses” agli italiani possa dispiacere, ma dal punto di vista...

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«Mi pare sacrosanto: dobbiamo aprire le scuole, non gli stadi. Capisco che togliere i “circenses” agli italiani possa dispiacere, ma dal punto di vista scientifico portare il pubblico negli impianti sportivi può avere gli stessi effetti che abbiamo visto nelle discoteche».

Il professor Massimo Galli, responsabile di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, lo dice chiaramente: prima di tutto, le scuole. Proprio ieri il coordinatore del Comitato tecnico scientifico, il dottor Agostino Miozzo, aveva spiegato: per noi la priorità è far ripartire le lezioni, il pubblico allo stadio può aspettare.

Perché non ci possiamo permettere di riportare gli spettatori negli stadi e nei palasport?
«Miozzo ha ragione, tra scuola e stadi non ci dovrebbe essere gara. Il calcio è uno spettacolo non essenziale che può essere fruito anche da casa. Come per le discoteche, qualsiasi situazione che determina un ammassamento di persone è insidiosa. Puoi tenere le persone distanziate all’interno dello stadio, ma non riesci a farlo all’entrata e all’uscita».

Abbiamo il precedente della partita giocata a Milano di Atalanta-Valencia in cui ci fu una sostenuta trasmissione del virus.
«Probabile, giusto ricordarlo. Ma d’altra parte se il virus si trasmette facilmente in una discoteca, come abbiamo visto, lo stesso avviene allo stadio. Siamo all’aperto, ma con persone che difficilmente non si accalcano. E per gli sport al coperto la situazione è ancora più critica. Fino a quando la situazione è questa bisogna rinunciare al superfluo. Siamo tornati a superare ampiamente le mille diagnosi al giorno, legate solo in parte al fatto che abbiamo aumentato i tamponi. Però l’andamento dell’epidemia ha caratteristiche non tali da rassicurarci».

In una discoteca della Romagna, frequentata da ragazzi tra i 16 e i 20 anni, dai tamponi è risultato positivo il 7 per cento. Non è sorprendente?
«Sì, soprattutto se teniamo conto che sono ragazzi che non solo non sviluppano di regola una malattia grave, ma che si infettano di meno. Abbiamo fatto uno studio a Castiglione d’Adda, dove il virus era circolato liberamente per una settimana infettando un quarto della popolazione. C’era una differenza enorme tra giovani e anziani. I giovani erano sotto il 14 per cento, gli anziani sopra il 35».

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Tra i nuovi positivi c’è una prevalenza di asintomatici.
«Vero solo in parte. C’è chi parla di virus modificato, cosa che io non credo ma stiamo completando uno studio proprio per avere risposte certe».

Quanto preoccupa la riapertura delle scuole?
«Non sarei stato scandalizzato e non lo avrei ritenuto un fallimento se le scuole avessero aperto solo il primo ottobre, in una situazione in cui tutto fosse stato sistemato a dovere. Giorno dopo giorno emergono varie difficoltà e poi in mezzo ci sono delle elezioni. Se devi aprire le scuole, per poi chiuderle per le elezioni, infine le devi pulire e poi riaprire... Insomma, valeva la pena aspettare. Detto questo, mi preoccupa il fatto che è difficilissimo ottenere il distanziamento a scuola. Bisognerebbe valutare sistemi alternativi, magari a rotazione fare lezione da remoto per un terzo degli scolari di una classe. Infine, avremmo bisogno di più test e presenza sanitaria nelle scuole. La misurazione della febbre a casa mi lascia perplesso. E avremo problemi quando cominceranno a esserci tutte le altre infezioni alle vie respiratorie, non mi è chiaro cosa succederà nelle varie regioni per il vaccino anti influenzale rivolto a bambini e ragazzi».

Si possono fare i tamponi ciclicamente agli studenti?

«Noi stiamo studiando un sistema, che velocizza i tempi: prelievo della saliva per gruppi, per classi, in modo da velocizzare i test. Se in una classe emergono tracce di coronavirus, allora si fanno i tamponi ai singoli studenti di quella classe. Si chiama pooling, ci stiamo lavorando».
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Il Gazzettino