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In quel «Tridentina, avanti!» urlato dal generale Luigi Reverberi, il comandante della Divisione, che, salito su un semovente tedesco, trascina i suoi uomini all'attacco a Nikolajewka, sta tutto lo spirito degli Alpini. Questa e altre storie di uno dei più gloriosi, celebrati e conosciuti corpi militari italiani le trovate nel libro "Alpini. Le grandi battaglie", (De Bastiani editore) in edicola oggi, sabato, con Il Gazzettino al prezzo di 6,90 euro più il prezzo del quotidiano.
IN RUSSIA
Le cose erano andate in questo modo: dopo il crollo del fronte sul Don causato dall'imponente offensiva dell'Armata rossa era cominciata quella che passerà alla storia come la ritirata di Russia. Colonne interminabili di uomini si ritiravano a piedi, nel gelo dell'inverno, sotto costanti attacchi da parte sovietica. La tattica dei russi era quella di chiudere i nemici in una sacca in modo da costringerli ad arrendersi; al mattino del 26 gennaio 1943 si arriva alla fase decisiva: per uscire dalla sacca bisogna oltrepassare il villaggio di Nikolajewka, tenuto dai soldati dell'Armata rossa. La colonna delle truppe dell'Asse conta circa 40 mila persone, in gran parte sbandati, senza nemmeno più i fucili; sono soprattutto italiani, ma si erano uniti alla ritirata anche tedeschi e ungheresi. Alla testa della colonna si trovano gli Alpini, gli unici ancora in grado di combattere. La Tridentina aveva ripiegato ordinatamente, senza abbandonare l'armamento individuale, come invece era accaduto per la stragrande maggioranza degli altri soldati. Tocca quindi alle penne nere aprire la strada a tutti gli altri. Si comincia a combattere alle otto del mattino, il terreno è piatto come lo può essere in questa zona della Russia, nell'oblast di Belgorod, a 75 chilometri dal confine con l'Ucraina e l'oblast di Charkiv.
I BATTAGLIONI
L'unico rialzo è costituito dal terrapieno della ferrovia, e proprio dietro a quello si attestano i sovietici che, al contrario degli italiani, dispongono anche di numerose artiglierie e mitragliatrici pesanti. I battaglioni alpini Vestone, Verona, Valchiese e Tirano impegnano i russi tutto il giorno; la sera si unisce al combattimento anche l'Edolo. Ma niente: sembra impossibile superare quel maledetto terrapieno. Ecco che accade l'imprevedibile: il generale Reverberi, benvoluto dalle truppe perché nei rapporti con i subordinati usava molto più la carota del bastone, sale su un mezzo tedesco e trascina gli uomini al grido di: «Tridentina, avanti!». Gli Alpini ce la fanno: travolgono i sovietici e questo consente di uscire dalla sacca e, per chi riesce, anche di tornare a casa. «A baita», come scriveva Mario Rigoni Stern, uno che la ritirata di Russia l'ha vissuta e dieci anni dopo, nel 1953, ha pubblicato l'impareggiabile "Il sergente nella neve" (il sergente maggiore Rigoni Stern era nei ranghi del Vestone).
IL SACRIFICIO
Visto che si tendono a dimenticare i numeri degli italiani mandati a morire nelle steppe di Russia da un italiano che voleva farsi bello con gli alleati tedeschi, eccoli qua: erano partiti 61.155 Alpini e, tra morti, feriti, dispersi e prigionieri, ne sono rimasti in Russia circa 40 mila.
L'ORIGINE
Questa è una delle storie più significative della storia del corpo degli Alpini, fondato nel 1872 e che dall'11 al 14 maggio si ritrova a Udine per la 94ma Adunata nazionale. L'idea era venuta a un capitano dello Stato maggiore, Giuseppe Domenico Perrucchetti, nato a Cassano d'Adda, che, appena ventenne, era fuggito dalla Lombardia austriaca in Piemonte per arruolarsi nei ranghi dell'esercito sabaudo. Aveva combattuto nella prima e nella seconda guerra d'indipendenza, guadagnandosi una medaglia al valore, e aveva intuito che per difendere i confini della neonata Italia sarebbe stato necessario farlo sulle Alpi, con un corpo militare formato da valligiani che conoscevano bene il terreno e che sarebbero stati motivati nel difendere le proprie case. L'idea era buona, tanto che nel dicembre 1888 i francesi creano le loro truppe di montagna, dal 1916 assumono il nome di Chassuers alpins (e l'anno successivo vengono schierati a Pederobba, a difesa del monte Tomba), mentre gli austriaci nel 1895 danno vita ai Kaiserjaeger, reggimenti alpini arruolati principalmente in Tirolo (quindi anche nel Welschtirol, l'attuale Trentino) e, in misura minore, in altre parti della Monarchia. La nascita degli Alpini è una storia molto italiana. L'intuizione è ineccepibile, l'idea è giusta, ma bisogna realizzarla (oggi, con un orrendo neologismo si direbbe "mettere a terra"). Come al solito, però, allora come oggi, non ci sono soldi: la Camera dei deputati, attanagliata dalle ristrettezze di bilancio, negherebbe il finanziamento. Quindi, allora come oggi, si usa un trucco: in un allegato del Regio decreto del 15 ottobre 1872, che prevedeva l'aumento dei distretti militari, si inserisce la costituzione di quindici nuove compagnie distrettuali permanenti da dislocare in alcune valli di frontiera, alle quali viene dato il nome di "Compagnie Alpine". A ognuna di queste compagnie viene assegnato un mulo, una carretta e un fucile per ciascun arruolato. Ecco che in questo modo nascono gli Alpini.
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