4 marzo 2018, i cambiamenti della politica estera: svolta sovranista con il rischio dell'isolamento

4 marzo 2018, i cambiamenti della politica estera: svolta sovranista con il rischio dell'isolamento
Doveva essere l'Italia che sa dire No. Rispetto alla vecchia sudditanza al direttorio franco-tedesco, l'avvento dei giallo-verdi si presentava come una ventata d'aria...

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Doveva essere l'Italia che sa dire No. Rispetto alla vecchia sudditanza al direttorio franco-tedesco, l'avvento dei giallo-verdi si presentava come una ventata d'aria fresca e di coraggio. All'Italia di Telemaco subentrava una sorta di irredentismo contro una Unione indifferente alla regolazione dei flussi migratori e alla condivisione dell'accoglienza. Le prime bozze di legge finanziaria servivano a rimarcare la volontà della nuova Italia giallo-verde di far valere flessibilità e crescita. I primi abboccamenti oltreoceano con l'America di Trump parevano riservare belle sorprese alla luce della leadership che gli Usa ci riconoscevano in Libia. Poi è successo che la maggiore assertività italiana, attenuata quando possibile da un ministro degli Esteri non in linea coi due vicepremier, e da un premier notaio, quindi mediatore, quindi prudente nelle mosse di politica estera e nei rapporti con gli altri capi di governo, si è annacquata in concreto (vedi le concessioni sul budget, contrattate direttamente fra Roma e Bruxelles) ma si è incattivita nei toni e in certe scelte. Prima una dialettica al limite della violenza verbale con Parigi, poi il veto su una posizione comune europea a favore del dissidente Guaidò contro Maduro in Venezuela.


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Nel mezzo, la retromarcia in Libia per la crescente forza di Haftar in Cirenaica sostenuto dall'alleato francese. E la sordità dei singoli Stati europei alle richieste di modifica dei Trattati di Dublino sui profughi. E il braccio di ferro sulla prosecuzione dei lavori della Tav, che vede Roma alinea non solo rispetto a Parigi ma alla Commissione Europea.

Né questo isolamento è bilanciato da un rafforzamento dei rapporti con Paesi sovranisti come Austria, Polonia e Ungheria, che in quanto difensori del loro interesse nazionale non condividono la politica migratoria e economica italiana. E Trump che propugna il bilateralismo e il disimpegno dalla UE, forse dalla Nato, non aiuta a includere la pedina americana in una partita a scacchi in cui l'Italia possa avvalersi della sintonia con il populismo di The Donald. Il dilemma è: nel mondo attuale in cui contano i blocchi oppure i giganti, possiamo permetterci di fare la voce grossa in perfetto isolamento?
M.Ven. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino