Wayne McGregor è energia pura che avvolge e contagia: lo avvertono i giovani

Wayne McGregor è energia pura che avvolge e contagia: lo avvertono i giovani
Wayne McGregor è energia pura che avvolge e contagia: lo avvertono i giovani performer della Biennale College che stanno studiando con lui nelle Sale D'Armi dell'Arsenale: «Non...

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Wayne McGregor è energia pura che avvolge e contagia: lo avvertono i giovani performer della Biennale College che stanno studiando con lui nelle Sale D'Armi dell'Arsenale: «Non insegno loro a coreografare, ma li aiuto a capire come guardare, e come usare quello che vedono creativamente». L'inglese McGregor, classe 1970, si prepara al suo nuovo festival. Dieci giorni di eventi dal 23 luglio al 1. agosto con oltre 100 artisti da tutto il mondo con due prime mondiali e tre europee, e poi film, installazioni, collaborazioni dentro la stessa Biennale, ospiti di riguardo come Baryshnikov e Fabre: First sense-Touch ideato dall'ardito sperimentatore della scena internazionale mira a «regalare un po' di gioia. Veniamo da tempi difficili e la danza, la bella danza che ti porta altrove, ti ricorda perchè siamo vivi».

Lei parte dal tatto per riprendere contatto con il mondo.
«È forse il nostro senso più immediato e potente, principale canale di piacere e di dolore. E la danza è tatto, è vicinanza. Il covid ci ha fatto capire quanto ci mancasse sentirci vicini, ed è una cosa incredibile tornare in contatto con il corpo attraverso le mani, il tatto».
È vero che ha iniziato a danzare grazie a John Travolta?
«Certo, grazie a Saturday Night Fever e Grease ho deciso di fare danza. Travolta ha un modo di muoversi così naturale, ne fui folgorato. Non sapevo ci si potesse muovere così. Ho cominciato con i balli latino-americani, ho avuto una docente incredibile, che mi incitava a creare i mie balli, prova questa rumba in modo nuovo, e già a 10 anni mi facevo le mie coreografie. Sono stato con lei fino ai 16 anni. Poi sì...(risata) avevo anche talento».
E a 22 anni aveva già formato la sua compagnia, la Random Dance.
«Ci ho danzato fino ai 35 anni: ho iniziato così perché volevo creare il mio mondo, le mie cose».
Lei ama insegnare.
«S, molto, è così importante condividere. E la danza è questo, un body teaching, un gesto personale e poetico. Per tre mesi, al College, i giovani possono lavorare, abbiamo avuto moltissime richieste di partecipazione quest'anno. Ma insegniamo anche altro, perché la danza è anche un business che va studiato. Se non lo sai fare non sopravvivi».
Lei è ossessionato dalla tecnologia del corpo. Ha detto che la coreografia è un processo di Physical thinking (pensiero fisico).
«Esatto. Sto scrivendo un libro sul Physical Thinking per Bloomsbury che uscirà il prossimo anno, e spiega come il corpo sia un sofisticato pensiero fisico che ragiona attraverso le sensazioni».
Quando crea una coreografia, da cosa parte?
«Osservo. La maggior parte di noi esprime le proprie emozioni attraverso il corpo. L'80 per cento della nostra comunicazione non è verbale. Mi piace riflettere su questo. In questo momento sto lavorando su un progetto robotico. So solo che devo farlo, è una cosa compulsiva, è come quando ti piace la cioccolata e non sai smettere. E poi mi piace la gente, mi piace lavorare come sto facendo ora al College: si pensa insieme attraverso il corpo. Ho sempre amato la coreografia, e spero di continuare a farlo con la stessa passione. Ma sento anche di non aver fatto abbastanza».
Ma ha un curriculum lungo due vite.
«Sono stato all'Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale. Incredibile: ho visto foto del 1972 di Cunningham, Bejart, della Bausch, una storia fatta di artisti fuori dal comune. C'erano lettere di Braque, Rodin, Fontana. Ecco, uno dei progetti con i giovani del College è proprio questo: usare parte dell'Asac per creare i pezzi, mi piace questo filo attraverso la storia».
Perché ha scelto questi artisti a Venezia?
«Uno dei miei criteri di scelta è stato quello di invitare artisti che a Venezia non ci sono mai stati. Tutti molto diversi nelle loro voci, ma toccanti a modo loro».
Cosa si aspetta dal suo primo festival?

«Spero che venga tanto pubblico, e che ne resti affascinato. E spero che gli artisti condividano le loro visioni diventando fonte d'ispirazione per gli altri». Un touch che si propaga.
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino