«Vincolo al Catajo, accuse infondate»

«Vincolo al Catajo, accuse infondate»
DUE CARRAREIl primo set si giocherà mercoledì di fronte al giudice dell'udienza preliminare di Venezia. Il secondo si aprirà poco dopo, l'8 giugno, a Roma, davanti al Consiglio...

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DUE CARRARE
Il primo set si giocherà mercoledì di fronte al giudice dell'udienza preliminare di Venezia. Il secondo si aprirà poco dopo, l'8 giugno, a Roma, davanti al Consiglio di Stato. È così che entra nel vivo la vicenda giudiziaria del Catajo e dei vincoli imposti dalla Commissione regionale per il patrimonio culturale del Veneto alla costruzione di un immenso centro commerciale che sarebbe dovuto nascere nei campi attorno alla dimora e che invece è fermo ai box in attesa di capire il proprio destino, legato indissolubilmente ai fronti giudiziari di una partita che sembrava finita ma che invece ha ancora molto da dire.

IL FRONTE PENALE
Il ritorno sugli altari della cronaca della vicenda del Catajo nasce dalla richiesta di archiviazione firmata dal sostituto procuratore di Venezia, Giovanni Gasparini, del fascicolo per abuso d'ufficio e falso in atto pubblico aperto contro ignoti e il cui perno è l'istituzione del vincolo ambientale indiretto per un chilometro attorno al Catajo firmato dalla Commissione regionale. Un provvedimento di tutela ambientale che nella sostanza ha tagliato le gambe alla costruzione del centro commerciale da 110 milioni di euro e da 1000 posti di lavoro e sul quale c'era stato anche l'interessamento di due fondi americani.
Tutto finito con la richiesta della procura lagunare di mandare in archivio il fascicolo? Nemmeno per sogno. All'atto del pm Gasparini si è opposto l'avvocato Luigi Ravagnan (già parte civile del Comune di Venezia nel maxi-processo Mose) per conto dell'ingegner Leonardo Antonio Cetera, al tempo amministratore di Deda srl, la società che voleva costruire l'area commerciale e che invece ora ha aperto le porte al fallimento. Secondo la tesi della proprietà quell'atto con il quale si istituiva il vincolo indiretto di costruzione nel raggio di un chilometro (per proteggere il castello del Catajo da un deturpamento visivo) sarebbe illegittimo. Tutto, nell'accusa, ruoterebbe attorno al verbale della seduta di Commissione che approvava il provvedimento di tutela: non era stato redatto secondo tutti i crismi formali e, anzi, si sarebbe protratto per più giorni.
IL RIMPALLO GIUDIZIARIO
E sulla base di questo assunto, a inizio 2019, per conto dell'ingegner Cetera, l'avvocato Ravagnan deposita in procura a Venezia una denuncia per falso e abuso d'ufficio che tira in ballo alcuni componenti della Commissione regionale di soprintendenti e alcuni funzionari delle soprintendenze venete. Da Venezia l'inchiesta viene spostata a Padova per competenza territoriale: nel trasmettere gli atti la procura lagunare sottolineava come il tutto fosse, a suo dire, un fascicolo non costituente notizia di reato. L'inghippo lo trova però la polizia giudiziaria della procura euganea che a inizio 2020 trasforma in fascicolo contro ignoti ipotizzando però un possibile falso da parte di cinque sovrintendenti seduti nella Commissione che aveva istituito il vincolo indiretto, pietra tombale sul progetto della Deda. L'incartamento torna così a Venezia che non ne cambia i termini e chiede l'archiviazione dell'indagine per abuso d'ufficio e falso in atto pubblico, basandosi anche sulla sentenza del Tar che aveva respinto il ricorso della Deda contro l'opposizione al vincolo di inedificabilità.

Al gup l'ultima parola, mentre l'8 giugno la partita si sposterà al Consiglio di Stato chiamato a esprimersi proprio sul ricorso della Deda contro la sentenza del Tar.
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino